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Martyrìa, Koinonìa, Diakonìa (L.Cantini)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/10


L’idea fondamentale di una sola famiglia umana non è mera utopia o astrazione filosofica, piuttosto un cammino della storia umana in parte già percorso, una prospettiva che altri prima di noi hanno percepito e vissuto, di questa loro esperienza dobbiamo fare tesoro per proseguire nel cammino.
La formulazione “più perfetta” dell’umanità unificata è quella di Paolo ai Galati (3,28): «Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». San Paolo dichiara ormai abbatutti tre grandi muri che dividono l’umanità da un punto di vista etnico-religioso (giudeo-greco), da quello socio-economico (schiavo-libero) fino ad arrivare a quello di genere (maschio-femmina).
Questo però non significa che ci si può indirizzare verso l’unità della famiglia umana prescindendo dalla propria identità, dalla propria cultura, dalla propria fede.
La globalizzazione postmoderna tende alla omologazione, a rendere tutti i paesi del mondo sempre più interdipendenti integrando mercati e produzione, lavoro e capitale, cultura e tecnologia. Il mondo, sempre più integrato ed omologato, tende ad assumere l’aspetto tranquillizzante di un unico grande supermercato; dietro l’apparente illusione di sentirsi dappertutto a casa propria si nasconde il rischio reale di non trovare più da nessuna parte il luogo della propria esistenza. La globalizzazione infatti tende a cancellare tutte le differenze culturali, psicologiche, antropologiche; recidendo il legame con le tradizioni, genera un senso di insicurezza e un vuoto spirituale che forse non ha precedenti nella storia dell’umanità. Probabilmente è per questo che, in diverse occasioni, viene proposto con forza, a volte con violenza, il problema dell’identità etnica, dell’appartenenza ad un popolo e ad una terra che lungi da essere uno sguardo ad un passato ormai morto, diventa espressione della ricerca di senso, di significato della propria storia, di una propria collocazione nel mondo.
Mons. Bruno Forte (B. Forte, Dove va il cristianesimo?, Queriniana, Brescia 2001) indica tre contributi che il cristianesimo può offrire alla costruzione dell’unità della famiglia umana, superando le deviazioni ed i limiti di omologazione della globalizzazione: la martyrìa, la koinonìa, la diakonìa. Sono tre orizzonti di senso radicati nel cuore della fede cristiana, che hanno una valenza universale, ma non ideologica. La via della martyrìa (testimonianza), di fronte al bisogno di religiosità nell’epoca postmoderna, mostra il primato della fede non razionalistica né ideologizzata, radicata nell’esperienza, nella totalità dell’uomo, capace di rendere ragione della speranza. La via della koinonìa (comunione) risponde al bisogno di unità della famiglia umana, chiede ai cristiani di testimoniare, in maniera corale, la possibilità dell’essere insieme, comunità abitabile, accogliente, attraente, dove ci si senta accolti, rispettati, personalmente riconciliati. La via della diakonìa (servizio), risponde alle sfide della giustizia sociale, dell’ecologia e dell’etica, sollevate dalla globalizzazione, ed esprime l’impegno per la giustizia, la solidarietà, la pace che, derivando dalla fede, contrastino le ambiguità ideologiche ed economiche della globalizzazione.
La testimonianza - martyrìa - che la “Gente del Viaggio” può offrire alla società di oggi in ordine alla costruzione di una famiglia umana più unita e solidale è data essenzialmente dalla sua storia passata ed attuale fatta di strade percorse e persone incontrate, di comunità capaci di far convivere culture ed esperienze diverse. La tipologia di spettacolo che offre, in cui i ruoli di attori e spettatori si intersecano, si scambiano e si confondono, costruisce una specie di koinonìa laica, pur momentanea ma non meno intensa e partecipata. Il senso della provvisorietà, la non appartenenza ad un luogo specifico è una sorta di diakonìa che la gente del viaggio offre ad una umanità troppo legata ad un territorio a cui si sente attaccata e che deve difendere dagli altri: “C’è nella vita dei fieranti e circensi una sorta di profezia, di segnale agli altri esseri umani: tutti siamo chiamati a piantare e spiantare, nessuno è definitivo, la terra che ci accoglie non è nostra esclusiva proprietà, l’unica cosa necessaria per vivere è saperci accogliere” (Luciano Cantini, In Cammino 2009-3).
La Gente del Viaggio per sua natura e per la sua storia funge da incontro e raccordo tra persone. E una sorta di società a se stante con una vita propria, una propria storia, una propria cultura, autonoma e nello stesso tempo dipendente dalla società più grande in cui è immersa. « E fuor di dubbio che quello del circo sia un microcosmo, un mondo dentro un mondo, con delle regole abbastanza precise e spesso diverse da quelle di “fuori”.(…) E resta il fatto che quel mondo esterno per i circensi resta pur sempre anche un campo di battaglia, nel senso che ad esso si deve continuamente raffrontare per sbrigare problemi pratici» (Alessandro Serena, Magia e luoghi comuni, in Circo Virtuosismi, Lineagrafica, Città di Castello 2002).
E una vita strana quella del Viaggiante, senza luogo e senza radici, perennemente confinata in un altrove rispetto alla vita dei “Fermi”, ma non a loro estranea. Lo spettacolo della Fiera e del Circo ha un linguaggio proprio, che sa leggere gli elementi della cultura contestuale e se ne serve, utilizzandoli in modo nuovo trasformandone il significato. Queste riflessioni, condotte secondo un approccio semiotico (Paul Bouissac, Circo e cultura, Sellerio, Palermo, 1986), mirano a considerare il circo come un «discorso metaculturale», che gioca, cioè, liberamente con un sistema culturale, collocandosi allo stesso tempo dentro e fuori di esso.
La Fiera, nata nel medioevo intorno al Mille, aveva una triplice funzione come luogo di commercio, luogo delle esibizioni di venditori-imbonitori e di artisti girovaghi, e infine luogo di scambio di informazioni in un periodo storico in cui non esistevano mezzi di comunicazione stabili. In un mondo senza scuole, senza libri, senza giornali, senza televisione, senza telefono e senza Internet, la piazza era l’unica occasione di incontro fra persone provenienti da ambienti diversi e lontani, un centro di aggregazione sociale con un’importante valenza culturale. I cantastorie, gli spettacoli di marionette, la commedia dell’arte, le lanterne magiche, i serragli degli animali esotici, i padiglioni delle scienze e i musei anatomici ambulanti resero visibile la storia, la scienza, la cronaca a gente analfabeta che non aveva altri mezzi di apprendimento. E un mondo di grande interesse antropologico quello dei viaggiatori, di tutti i tempi, che ha concorso non poco al diffondersi della cultura, al superamento delle frontiere, alla costituzione di una Europa dei popoli, forse non si potrebbe parlare oggi di una cultura europea se non ci fossero stati questi piccoli “artigiani della festa” a scorrazzare per strade e villaggi. E un mondo da sempre trascurato dalla cultura ufficiale perché considerato a torto storia minore, un mondo in parte sommerso, ingiustamente snobbato dall’uomo smaliziato, sofisticato e superinformatizzato del terzo millennio.
L’universo del Circo e dello Spettacolo Viaggiante sembra lontano dal nostro tempo ipertecnologicizzato e ci riporta a stili di vita e a forme di ricreazione innocenti, schiette, che disarmano per il messaggio di candore, di freschezza che sanno ancora trasmettere: un rito di liberazione collettiva dalle tensioni, dalle frustrazione e dalle angosce profonde dell’essere e da quelle accumulate nel tran tran quotidiano. Il Circo e Luna Park rappresentano un’espressione di costume e di civiltà legata a un quadro sociale e intellettuale e a un modo di vita che appaiono sempre meno in sintonia con la nostra mentalità e con un tempo, come quello attuale, dominato da tante altre forme alternative di divertimento, e proprio per questo assumono una rilevanza culturale ancora maggiore. Il circo «è una specie di specchio in cui la cultura si riflette, condensata e allo stesso tempo trascesa » (Paul Boussiac, Circo e cultura, Sellerio, Palermo, 1986).
S.S. Benedetto XVI nel Messaggio per la Giornata della Pace del 2008 ha scritto: “Non viviamo gli uni accanto agli altri per caso; stiamo tutti percorrendo uno stesso cammino come uomini e quindi come fratelli e sorelle. E perciò essenziale che ciascuno si impegni a vivere la propria vita in atteggiamento di responsabilità davanti a Dio, riconoscendo in Lui la sorgente originaria della propria, come dell’altrui, esistenza. E risalendo a questo supremo Principio che può essere percepito il valore incondizionato di ogni essere umano, e possono essere poste così le premesse per l’edificazione di un’umanità pacificata. Senza questo Fondamento trascendente, la società è solo un’aggregazione di vicini, non una comunità di fratelli e sorelle, chiamati a formare una grande famiglia”.
La risposta a una globalizzazione escludente è la solidarietà, che vuol dire vicinanza, dedizione della persona alla persona. Gli spettacoli che nel mondo sono offerti nelle Fiere e nei Circhi equestri hanno questo senso. La metafora adeguata non è quella del «globo», dunque legata alla terra e al territorio, da cui nasce il termine globalizzazione, ma della «famiglia» umana, dove il riferimento è la persona, il mondo diventa casa, dove c’è vicinanza, stima, gioia, e, perché no, allegria.