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La famiglia, originario luogo educativo (M.Lora/A.Carnassale)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/10


La famiglia, originario luogo educativo
La prima e fondamentale educazione alla civiltà avviene in famiglia: è la famiglia la “prima scuola di virtù sociali,” e ogni società ha bisogno, o meglio ha assoluta necessità, di famiglia per poter esistere. Senza famiglia, in altri termini, non esiste società e non esiste introduzione ad essa, non si realizza socializzazione. Sia a livello elementare, di primi rudimenti e approcci al vivere in relazione con gli altri, come pure a livello di complessità delle relazioni più evolute, nel costruire il tessuto di una civiltà, nel generare “cittadini” non solo per una generazione fisica, ma per educazione, nel promuovere relazioni sociali complesse, nell’introdurre alle dinamiche essenziali dei diritti e dei doveri, di fraternità e di cittadinanza.
Tra i doveri fondamentali dei genitori che costituiscono una famiglia troviamo appunto quello di generare a questa cittadinanza, e per la famiglia questo compito educativo è originario e inalienabile. Originario, in quanto appartiene alla natura stessa del generare e al rapporto d’amore tra genitori e figli; inalienabile, in quanto nessun altro soggetto può pretendere di sostituirsi totalmente al compito educativo dei genitori sulla base di un qualsiasi altro principio (ad esempio, un potere coercitivo dello Stato). Applichiamo già qui il principio di sussidiarietà, per cui ad una famiglia è sempre possibile svolgere almeno in forma iniziale il proprio compito educativo, e altri soggetti possono certamente aiutarla a svolgere tale compito nelle sue fasi più complesse e articolate, senza però pretendere di possedere l’esaustività in tale ruolo.
Questa rete, che ha la sua radice nella famiglia, contribuisce a produrre capitale sociale. Per contro, la mancanza di una rete familiare genera tre disorientamenti: il primo, elementare, del soggetto privo di radici - incapace di rispondere alla originaria domanda dell’esistenza sulla propria origine, il “da dove vengo” - ed esposto a potenziali fenomeni destabilizzanti.
Un secondo, di incapacità di relazione sociale positiva, al punto che una società di figli “senza padri” è una società di mancati cittadini, potenziali vittime di ogni forma di sfruttamento, come pure esposti ad una possibile deriva violenta. Dei cittadini non disposti ad accettare un principio di autorità che non sia il loro stesso “io”.
Un terzo disorientamento è quello generato dalla mancanza di relazioni familiari allargate: in questo caso il capitale (una ricchezza non economica ma relazionale) dei contatti, degli aiuti, degli stimoli che la famiglia produce viene a mancare non solo al singolo nucleo familiare, ma a tutta la società in cui questa famiglia risiede. Un esempio può aiutare a capire questo terzo concetto: una coppia di giovani genitori, trasferiti lontani dalle rispettive famiglie di origine, ha maggiori difficoltà a curare il proprio figlio nato da poco, per la mancanza di rete tra familiari; lo stesso accade per le famiglie immigrate, che non hanno nelle famiglie di origine le coordinate di riferimento per seguire i figli. In entrambi i casi il capitale sociale familiare è assente, e si genera una situazione di disorientamento.
Questi fenomeni, per altro, trovano piena evidenza nel mondo scolastico italiano.
Famiglia e migrazioni in Italia
Un lavoro svolto in questi anni in modo sempre attento alla dimensione familiare porta ad alcune osservazioni di carattere empirico che nascono dal notare come in Italia alcuni dei fenomeni presenti in altri Paesi europei non abbiano la stessa virulenza e carattere di problematicità accentuata. Abbiamo infatti sostanzialmente un buon tessuto sociale, spesso conflittuale ma non violento se non in alcune frange marginali, e abbiamo una capacità di accoglienza e solidarietà che sa far fronte a situazioni le più articolate possibili. Si rileva una capacità di presa in carico di chi è debole, che unisce risorse private (a partire dalla forte rete di solidarietà e vicinanza familiare) e pubbliche. Approfondendo, troviamo una visione antropologica dell’uomo incarnata nel sentire popolare sotto il profilo della solidarietà e della fraternità, concrete, pratiche, operose.
Qual è il marcatore specifico di tale contesto italiano? La via italiana di accoglienza dell’immigrazione differisce sostanzialmente da quella di altri Paesi europei per il fatto che l’analisi più profonda e strutturale del tessuto sociale può rilevare la natura non solo cristiana ma specificamente cattolica della famiglia in Italia: a differenza di altri Paesi europei che hanno seguito una loro via di confronto con l’immigrazione, la famiglia italiana possiede un “di più” sacramentale, dato dal fatto dell’esserci di un Sacramento, quello del Matrimonio, che alla fine - o meglio a partire da una base specifica, anche se oggi oscurata e meno consapevole - la differenzia da altre esperienze. Tra queste possiamo svolgere un confronto, sia pure semplificato, con altre due capitali europee, in cui l’immigrazione ha generato forme di violenza più forti e più incuneate nel territorio rispetto all’Italia.
La Francia è la patria dell’illuminismo anti-cristiano, e Parigi ha fatto dell’integrazione forzata il modello delle banlieue: qui la famiglia appare come un fatto da non considerare, oppure da ridurre a fenomeno intimistico o da distruggere intenzionalmente, e si assiste all’incapacità di cogliere nei legami familiari una matrice di riferimento.
Ciò significa due cose: che se Parigi non crede alla famiglia schiaccerà la concezione familiare delle popolazioni che arrivano, generando reazione violenta e disadattata, proponendo reazioni violente a visioni differenti da quella specifica francese; in secondo luogo sottostimare o non credere alla capacità di tenuta sociale della famiglia comporta innescare azioni di disaggregazione sociale. In questo senso il modello di promozione della natalità francese, che è intervenuto assicurando una tutela economica al figlio che nasce, non è intervenuto in pari modo sulla relazione stabile che accoglie tale figlio. Per cui, anche se le statistiche comparate rilevano un tasso di fecondità delle donne francesi superiore ad altri paesi europei, stiamo assistendo al crescere in Francia di una generazione di adolescenti “orfani di padre vivo”, e quindi orfani di socialità.
La “differenza” è intesa come un fatto da estirpare in modo violento, sia pure sotto forma di approccio filosofico. Così anche la “rivoluzione sessuale anti-familiare” rappresenta gli ultimi fuochi di un mondo libertino in estinzione, e la reale possibilità di sopravvivenza è affidata alle culture dove la famiglia trasmette valori alle generazioni future.
In Inghilterra, invece, la cultura della immigrazione come accettazione indifferente ha generato la violenza delle seconde generazioni, insofferenti di tale clima di indifferenza e alla ricerca di radici coerenti (un ulteriore approfondimento andrebbe svolto nel merito delle scelte religiose). L’Inghilterra è ora segnata da una multi-etnicità arrabbiata per l’essere stata lasciata senza identità, di cui le seconde generazioni nate in Inghilterra sono alla ricerca di una identità perduta. E la cercano, purtroppo, anche in forme violente di affermazione di questa identità, di queste radici.
Quale può essere il modello familiare di questa società? In ultima analisi, il rifiuto che l’amore tra un uomo e una donna sia “paradigma” di ogni altra relazione sociale genera uno sradicamento complessivo e porta alla crescita di una violenza che nasce dal voler affermare (sia pure per colpa di cattivi maestri o di mestatori appositamente interessati) una propria identità di fronte al nulla valoriale.
Tornando a guardare all’Italia, affermare che “il bene della famiglia è il bene del Paese” acquista di colpo la sua evidenza: a partire dalla famiglia, dai diritti e dai doveri propri e specifici, dalla affermazione della pari dignità dell’uomo e della donna, degli uguali doveri e diritti matrimoniali, della corresponsabilità educativa nei confronti dei figli, si scopre che la via italiana alla immigrazione è una via profondamente innestata in una visione del matrimonio come bene sociale, è la via della famiglia come scuola di virtù sociali, ma al tempo stesso della famiglia come soggetto civile perché soggetto consapevole, e - oggi ormai è evidente - soggetto capace di generare politiche adeguate alla promozione del nucleo familiare, non certo votata alla difesa di un retaggio del passato.
Sintetizzando, il fatto che in Italia il matrimonio sia un fatto sacramentale attinge ad un di più, attinge all’amore di Cristo sposo (anche se tale amore è invisibile), ma genera un fenomeno visibile sul piano sociale: credere nella famiglia genera più società, e genera maggiore capacità di tenere coesa la società anche di fronte al fenomeno migratorio.
L’associazionismo familiare: la genetica del Forum delle Associazioni familiari
Tra le molteplici forme dell’associazionismo cattolico in Italia si rileva la presenza di una cinquantina di Associazioni, Movimenti, realtà ecclesiali che hanno fatto del matrimonio e della famiglia il loro punto di convergenza, all’interno del Forum delle Associazioni familiari.
Queste diverse realtà, in modo e in grado diverso, rispettando la loro eterogenea natura, hanno posto al centro della loro attenzione associativa la famiglia. Fanno riverberare, con una forza che nasce dalla loro unità, dalla loro intrinseca ricchezza e dalla complementarità dei diversi approcci e dei diversi temi di cui si occupano, la centralità della famiglia come soggetto sociale e come attore di azioni politiche. Al punto che nel “Patto associativo” del Forum si trova la “Carta dei diritti della famiglia”, promulgata dalla Santa Sede nel 1983 e proposta a persone, istituzioni e autorità per promuovere la famiglia stessa.
Al cuore di questo pensiero c’è la convinzione che la famiglia eserciti una “missione” propria e specifica nella società, una convinzione che si traduce in azioni concrete, tanto a livello nazionale che regionale, tanto come movimento culturale quanto come concreta proposta di azioni legislative.
Da qui si comprende il rilievo che ha la famiglia nell’accogliere e nel generare relazioni con gli immigrati; perché compresi nella loro dignità e identità, e di conseguenza accolti per ciò che essi sono. Quindi, in Italia, non costretti ad una integrazione o omologazione forzata, né guardati con indifferenza o marginalmente tollerati.
E lo sviluppo di una idea forte di famiglia, basata sulla convinzione che il matrimonio sia una realtà assolutamente positiva, e rinforzata qui in Italia da una ricca tradizione e dal recente approfondimento sul sacramento del matrimonio (e mi riferisco in particolare al fondamentale magistero in materia di Papa Giovanni Paolo II e di tutti coloro che ne hanno approfondito il percorso teologico e pastorale) che rende possibile una integrazione reale, se reciprocamente voluta.
Affermando quindi con chiarezza la propria identità, occorre rilevare infine che proprio uno dei tratti caratterizzanti la famiglia, quello di possedere in proprio una capacità di accoglienza, è uno dei fattori che promuovono la presenza e il dialogo con l’immigrato, con famiglie che sono arrivate ora da chissà dove, per lavorare con noi, o per noi.
La Carta dei diritti della famiglia
La citata “Carta dei diritti della famiglia della Santa Sede” del 1983, nella sua concisione e stringatezza, dedica un intero articolo alla famiglia migrata. Questo articolo merita attenzione, per i contenuti e per il valore prospettico che possiede.
I punti messi in evidenza, posta la premessa che per la famiglia il diritto al lavoro e ad un lavoro capace di mantenere tutta la famiglia è affermato in un precedente articolo, riguardano alcuni aspetti tra loro congruenti. Il primo, assolutamente non banale, è la pari dignità della famiglia dei migranti, per cui la famiglia dei migrati ha gli stessi diritti di ogni altra famiglia. Volendo fare un paragone con la fisiologia dell’organismo umano, la cellula è sempre cellula, e non esistono cellule di serie superiore e cellule di serie inferiore: tutte concorrono al funzionamento dell’organismo (ed è di tutta evidenza che quando una è malata, tutto l’organismo ne soffre).
La “Carta” propone poi il diritto della famiglia degli immigrati “al rispetto della propria cultura”, e al tempo stesso “a ricevere sostegno e assistenza per l’integrazione nella comunità alla quale recano il proprio contributo”. Questo aspetto richiama a due attenzioni complementari: certamente il rispetto della cultura degli immigrati, ma il dovere degli immigrati di conoscere e rispettare la cultura (le regole, le leggi, gli usi, le tradizioni) e la fede nelle quali si introducono.
In questo senso sono da ritenere fondamentali i percorsi che nella uguale identità umana e nella differenza uomo-donna trovano il paradigma dell’esistenza, anche per quanto riguarda i rapporti interculturali. Intendo dire che non si dà una fraternità neutra, ma - come sottolinea Benedetto XVI all’inizio dell’Enciclica Deus caritas est (n. 2) - modellata sull’amore uomo-donna come paradigma di ogni altro amore, anche di ogni azione caritativa.
Nella citata “Carta” la terza affermazione di uno specifico diritto delle famiglie immigrate riguarda i lavoratori emigrati che hanno diritto di vedere la propria famiglia unita il più presto possibile. Come si può rilevare, i due elementi fondamentali dell’esistenza umana, gli affetti e il lavoro, vengono qui immediatamente riallacciati in una comprensione dell’essenziale.
Infine, il quarto punto della “Carta dei diritti della famiglia” riguarda la riunione della famiglia del rifugiato, sotto forma di assistenza dell’autorità pubblica.
Il progetto “Con-tatto”
Per approfondire in modo adeguato la “questione immigrazione” a livello di pensiero complessivo del Forum delle Associazioni familiari, è stato avviato un progetto denominato “Con-tatto”, finanziato con i fondi del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali indirizzati all’Associazionismo di promozione sociale, avente per tema esattamente lo specifico migratorio.
Il progetto nasce di fronte ad una realtà italiana articolata in modo oltremodo diverso da regione a regione, e con un Associazionismo che conosce il fatto della presenza degli immigrati in Italia in modo diversificato. Si pensi che alcune delle Associazioni membro del Forum operano nativamente o statutariamente proprio per gli immigrati, o lo hanno posto come uno degli obiettivi delle loro attività con le famiglie associate.
Gli obiettivi di questo progetto intendono innanzitutto promuovere il ruolo delle associazioni costituite da stranieri e la loro collaborazione con l’associazionismo familiare; a tal fine si intende favorire la realizzazione di momenti di incontro, dialogo, festa, conoscenza fra famiglie di immigrati e di italiani; a lungo termine si vogliono così realizzare rapporti stabili fra le associazioni familiari, di italiani e di immigrati. Si prevede perciò di realizzare seminari formativi congiunti, rivolti alle Associazioni familiari italiane e straniere, per promuovere l’integrazione, intesa come convergenza di valori sanciti dalla Costituzione italiana.
Sarà così possibile elaborare un modello riproducibile di integrazione delle persone straniere in Italia, che valorizzi il ruolo dell’associazionismo e della dimensione familiare.
Il Forum intende quindi rilevare come il modo oggi più incisivo per porsi nella nostra società sia quello di associarsi, giungendo a proporre anche agli immigrati di arrivare a costituire un loro proprio e specifico associazionismo familiare, se lo riterranno opportuno su base etnica, oppure di scoprire come la forza associativa in molti determinati campi sia oggi una reale risposta al cambiare della società (come ad esempio nel mondo della scuola, nella conciliazione famiglia-lavoro, nella promozione di adeguate politiche familiari).
Superando un’etica utilitaristica o un’etica contrattualistica, la famiglia trova nell’associazionismo un modo originale di partecipare alla vita della società; così il compito sociale delle famiglie è chiamato, e ha la concreta possibilità, ad esprimersi anche in forma di intervento politico.
Il motivo conduttore del Forum è quindi che la famiglia, di qualsiasi colore sia la pelle, è la speranza e il futuro dell’umanità.
La Giornata Internazionale della Famiglia del 2010
Quest’anno accade poi un evento del tutto particolare. L’ONU, fin dal 1994 ha indetto per il 15 maggio, con cadenza annuale, la “Giornata Internazionale della Famiglia”, con una specifica attenzione dedicata alla famiglia quale “nucleo naturale e fondamentale della società”.
Il tema proposto dall’ONU per la celebrazione di tale “Giornata” quest’anno è “L’impatto delle migrazioni sulle famiglie del mondo”, tema che il Forum ha scelto di assumere per la celebrazione in Italia e di tradurre in “Famiglia a colori: il futuro dell’Italia è interculturale”, in considerazione dello scenario nazionale e internazionale caratterizzato da imponenti movimenti migratori, individuali e familiari. In questo scenario la famiglia è il soggetto di mediazione interculturale, quindi veicolo di integrazione, perché già al proprio interno luogo di mediazione tra sessi e tra generazioni e - nel caso dell’interfaccia con le persone straniere - può ampliare questa primaria capacità, diventando ponte culturale e scuola di integrazione e di inclusione.
Torna così evidente che il ruolo educativo della famiglia si conferma fondamentale e imprescindibile.
 
 
 alcuni riferimenti
Giovanni Paolo, Esortazione apostolica Familiaris consortio (23.11.1981)
Santa Sede, Carta dei Diritti della Famiglia, presentata dalla Santa Sede a tutte le persone, istituzioni e autorità interessate alla missione della famiglia nel mondo di oggi, 22.10.1983
Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est (25.12.2005)
P.P. Donati - R. Prandini, Associare le associazioni familiari. Esperienze e prospettive del Forum, Città Nuova, Roma, 2003
CISF, Famiglia e capitale sociale nella società italiana, San Paolo, Cinisello B., 2003 (Ottavo rapporto CISF sulla famiglia in Italia).
L. Santolini, L’avventura necessaria, Cantagalli, Siena, 2005.
Il sito del Forum delle Associazioni familiari: www.forumfamiglie.org