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Il rapporto Italiani nel Mondo (D.Licata)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/08


  I contenuti del Terzo Rapporto Migrantes

Con il Terzo Rapporto sugli Italiani nel Mondo la Fondazione Migrantes conferma il suo appuntamento an-nuale di studio dedicato ad approfondire l’emigrazione.

L’emigrazione italiana ha un secolo e mezzo di storia, è stata molto intensa anche nell’ultimo dopoguerra, ha coinvolto tutte le regioni italiane (dal Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige fino alla Calabria e alla Sicilia) e riguarda tanti paesi del mondo (dalle vicine Svizzera e Croazia fino ai paesi transoceanici). Sono circa 4 milioni i connazionali all’estero, almeno 60 milioni gli oriundi e ancora di più quelli che fanno riferimento all’Italia. Di questa grande epopea rimane testimonianza anche nella pittura e nella scultura in tutta Italia, in grandi città e in piccoli paesi e, per la prima volta, ne viene presentata una specifica rassegna. Il cinema non è da meno con una serie impressionante di titoli di cui il Rapporto offre pure un’ampia panoramica.

Presenza italiana all’estero significa, inoltre, anche corsi di lingua e cultura: ne sono stati promossi 34.689 dal Ministero degli Affari Esteri nell’anno scolastico 2006/2007, per un totale di poco meno di 650 mila iscritti, mentre la Società Dante Alighieri concorre con 400 Comitati nazionali ed esteri, centri di assistenza culturale, biblioteche e sale di letture, trasmissioni radiotelevisive, superando da sola i 200.000 studenti.

L’emigrazione italiana, collocata tra il paese di origine e quello di inserimento, induce a prestare attenzione ad entrambi e ad occuparsi di tutte le categorie coinvolte (i pionieri dell’esodo, le generazioni di mezzo, le nuove generazioni e i nuovi migranti) e a prendere in considerazione la diversità di luoghi, tempi e settori di impegno.

Il Rapporto ripropone questo quadro partendo sempre dai dati statistici (Aire, aprile 2008) e cercando di approfondirne il significato.

Le sorprese conoscitive dell’archivio Aire

Dei 3.734.428 italiani residenti all’estero, solo poco più della metà (59%) è effettivamente emigrata, spostandosi dall’Italia. Più di un terzo, invece, è nato all’estero (34,3%) e il 2,5% è iscritto all’Aire per acquisizione della cittadinanza italiana, il che solitamente avviene per nascita all’estero. Risulta, così, priva di fondamento la credenza che italiano all’estero ed emigrazione siano la stessa cosa.

Inoltre, ancora contrariamente a quanto si pensa usualmente, il 52,8% è costituito da celibi e nubili a fronte del 39% che è coniugato e del 2,7% di vedovi: si sbaglia ancora ad accreditare questi connazionali prevalentemente come coppie di anziani o vedovi.

Le donne, anche se solitamente dimenticate, sono numerose quasi quanto gli uomini (45,5% e 1.774.677) e operano a tutti i livelli di responsabilità. Le ultrasessantacinquenni (19,3%) superano le minorenni (16,6%), registrando livelli di invecchiamento maggiori di quelli riscontrabili non solo tra i maschi all’estero ma anche tra le donne in Italia: per giunta, tra le classi di età intermedie, sono le donne che hanno già compiuto i 40 anni a essere più numerose.

Quasi la metà di questa popolazione femminile (46,2%) si è iscritta all’Aire da almeno 10 anni e poco più di un sesto (18,2%) negli ultimi tre anni. Negli ultimi dodici mesi le iscrizioni hanno riguardato ben 85.000 donne e quasi altrettanti maschi, dimostrando quanto sia sbagliato inquadrare l’Aire come un archivio che registra solo i fatti del passato.

Dai dati ufficiali alle ricerche sul campo

Un archivio ufficiale come l’Aire ha il pregio nel suo carattere globale registrando tutti gli italiani all’estero, mentre per descrivere le particolarità delle collettività italiane all’estero servono le ricerche sul campo. Perciò la Fondazione Migrantes, insieme a un gruppo di Patronati (Acli, Epasa, Inas, Sias) ha avviato sperimentalmente un’indagine nel corso della quale sono state intervistate più di 500 persone in diverse città europee e d’oltreoceano. Seppure non si sia trattato di un campione pienamente rappresentativo, le interviste hanno consentito di individuare alcuni punti fermi, che inducono a rimuovere la patina di assistenzialismo con cui spesso si inquadra l’emigrazione.

I connazionali all’estero solitamente sono riusciti a migliorare la loro situazione, hanno la casa di proprietà (e non pochi una seconda casa in Italia), trascorrono parte delle vacanze in Italia (o amerebbero farlo se non fossero d’ostacolo i costi elevati dei viaggi transoceanici), rimangono religiosi anche se man mano tendono a frequentare la chiesa locale più della missione cattolica italiana.

La situazione di stabilità che così emerge non deve sorprendere perché molti tra gli intervistati hanno maturato una considerevole anzianità migratoria, considerato che i flussi più intensi di esodo sono avvenuti negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, con uno strascico nel decennio successivo e partenze più diradate negli anni a noi più vicini.

Questa lunga permanenza all’estero ha reso sempre più profonde le loro radici in loco, rompendo una serie di cliché. Secondo la ricerca Migrantes-Patronati, infatti, sono una minoranza quelli che:

- inviano in Italia parte dei loro risparmi, che invece un tempo costituivano una sorta di “pioggia d’oro” utile al benessere delle loro famiglie e dell’intero paese;

- intendono tornare definitivamente, prospettiva che una volta rappresentava il sogno di tutti gli immigrati;

- seguono prevalentemente l’associazionismo italiano, essendo sempre più impegnati in strutture locali;

- preferiscono parlare solo italiano, perché capiscono l’importanza della lingua del posto.

Ciò non vuol dire che non vengano seguite le vicende del paese di origine: questi connazionali leggono anche i giornali italiani, guardano i programmi della RAI e sentono l’Italia vicina, ma mai in misura uniforme e del tutto totalizzante.

Un certo attaccamento al proprio paese è dimostrato anche dal grado di partecipazione alle ultime elezioni come anche dall’iscrizione all’Aire, personale o dei propri figli, tuttavia secondo livelli differenziati a seconda del luogo di inserimento e dell’anzianità migratoria.

Gli italiani continuano ad essere un prolungamento della realtà italiana, ma in maniera diversa rispetta al passato; una diversità della quale non sempre ci rendiamo conto e che reclama prospettive innovative.

Una galleria di personaggi e di gente comune

L’approccio più brillante all’emigrazione è quello storico, che permette di conoscere una sorprendente galleria di personaggi. Quest’anno, ad esempio, ricorre il bicentenario della nascita di Antonio Meucci, un caso tipico di ingegno e di sfortuna. Il suo anniversario è stato celebrato a New York il 13 aprile 2008, su iniziativa dell’Italian Heritage & Culture Committee. L’inventore del telefono (nato a Firenze il 13 aprile 1808 e morto a New York il 18 ottobre 1889) emigrò a Cuba e lavorò come scenografo in un teatro de L’Havana. Andato distrutto il teatro a seguito di un incendio, riparò a Staten Island, dove per sbarcare il lunario costruiva candele, lavoro che svolse anche Giuseppe Garibaldi quando fu suo ospite, dopo la fine della Repubblica Romana (1849). Per poter comunicare con la moglie, costretta a letto perché gravemente malata di artrite, Meucci ideò un prototipo rudimentale di telefono, veicolando la voce tramite dei fili di rame con cornetti di cartone alle loro estremità. Essendo egli rimasto a lungo in ospedale a seguito di un incidente occorsogli a bordo di un traghetto, la moglie, priva di sue notizie e bisognosa di soldi, vendette i modelli di telefono. Meucci: grande nell’ingegno e non altrettanto nel successo economico, tant’è che il brevetto andò ad Alexander Graham Bell, anche se la memoria gli rende onore.

Lo studio degli italiani nel mondo fa incontrare tanti altri personaggi che suscitano ammirazione per il coraggio di emigrare, la voglia di riuscire, l’industriosità multiforme. Ne è esempio Filippo Mazzei, un altro toscano ignoto ai più che fece di tutto nella sua vita sia in Italia che negli Usa (agricoltore, scrittore, ambasciatore). Gli espressero riconoscenza sia il presidente John Kennedy che Ronald Reagan, il quale nel 1980 lo definì “un patriota e collaboratore di Thomas Jefferson”; a lui si deve l’inserimento, nella Dichiarazione d’Indipendenza americana, della frase “Tutti gli uomini sono creati uguali”.

Ancora più folta la schiera di gente segnalatasi per l’impegno professionale: essi hanno costituito il vero nerbo della nostra presenza all’estero e favorito la crescita collettiva, tanto economica quanto culturale. Per questo ogni anno le regioni italiane e le associazioni operanti all’estero premiano diverse persone meritevoli per essersi segnalate nel campo della ricerca, della cultura, dell’impegno sociale ed artistico, dei rapporti con le realtà regionali.

Tra gli esempi innumerevoli si può segnalare l’ingegnere elettronico Renato Berzolla di Borgotaro (Parma), presidente della Lux Engineering di New York, specializzata in sistemi di sicurezza e visivi per aeroporti, nominato “Man of the Year” dalla Valtarese Foundation e anche attivo operatore pastorale.

Sul versante femminile, Fiammetta Jahreiss-Montagnani nel mese di maggio 2008 è stata eletta presidente del Consiglio comunale di Zurigo, divenendo così la prima immigrata non di madrelingua tedesca alla quale è stata conferita la carica cittadina più alta. Ci piace ricordare che il Consiglio comunale è competente per la definizione delle richieste di cittadinanza e proprio per tale motivo la Montagnani, con un gruppo di consiglieri, venne a Roma per studiare comparativamente la questione insieme ai redattori di Caritas/Migrantes.

Ma in emigrazione bisogna far riferimento anche alla schiera di italiani che compiono onestamente e con impegno il loro lavoro, come possono attestare i patronati, le associazioni, Comites e i Consolati: gente comune della quale difficilmente si conoscerà il nome. I due livelli non sono sconnessi perché i casi di successo nascono proprio in questo humus favorevole, che è per l’Italia un motivo di orgoglio.

Gli emigrati anziani, un ponte tra passato e presente

L’emigrazione italiana non è fatta solo di anziani, sebbene essi ne rappresentino una parte cospicua, quasi un quinto: sono 687.423 gli over 65 anni, dei quali 343.250 sono donne.

Anche in un mondo globalizzato e che vede l’Italia preoccupata del suo futuro è importante il richiamo ai “pionieri”, sia quelli che nell’immediato dopoguerra lasciarono il paese, che i figli di quelli partiti nelle iniziali ondate migratorie, a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento. Raramente costoro sono interessati al rimpatrio e tuttavia premono sulle Regioni per il potenziamento dei programmi di visite estive, per poter rivedere i luoghi dell’infanzia loro o dei propri parenti.

Il primo motivo per non cancellare dalla nostra memoria questi anziani è la riconoscenza. Senza la loro coraggiosa decisione di emigrare e di vivere all’estero, i conseguenti benefici strutturali, oggi l’Italia non sarebbe collocata ai vertici mondiali per ricchezza e sviluppo. Il secondo motivo è legato strettamente alle implicazioni culturali attuali. L’Italia sta conoscendo intensi flussi immigratori dai paesi più poveri, paragonabili a quelli che una volta partivano dal nostro paese. I nostri connazionali sono un ricordo vivente delle cause che stanno all’origine di questo sradicamento, delle difficoltà di adattamento in una società diversa dalla propria, della necessità della reciproca comprensione, dello sviluppo del paese di accoglienza inteso come impegno che coinvolge anche i nuovi venuti. Arriviamo, così, alla necessità di inquadrare congiuntamente la nostra storia passata (di esodo) e quella attuale (di immigrazione), aspetto sul quale il Rapporto Migrantes torna a più riprese, senza sottacere le differenze ma anche senza misconoscerne la linea comune, che pone le migrazioni come un legame tra i paesi e il loro diverso grado di sviluppo.

All’estero, da giovani e da laureati

Sotto l’aspetto generazionale l’altro estremo è costituito da giovani, persone che stanno programmando il proprio futuro o stanno vivendo la prima fase della propria carriera.

Più della metà degli italiani all’estero (54%, pari a circa 2.013.000 persone) è costituita da giovani al di sotto dei 35 anni. Di questi, 3 su 10 sono minorenni (606.000, circa un sesto dell’intera popolazione italiana che vive oltreconfine), oltre 2 su 5 hanno un’età compresa tra i 18 e i 24 anni (quasi 860.000) e più di un quarto (27%, pari a circa 547.000 individui) appartiene alla fascia d’età più avanzata, quella compresa tra i 25 e i 34 anni.

La maggior parte di questi giovani è concentrata in Europa (1,2 milioni, pari al 60,6% del totale, all’incirca 3 su 5), un continente non solo più vicino ma anche più affine culturalmente: è qui che i giovani studiosi, i lavoratori e i professionisti trovano maggiori opportunità di formazione e di avviamento occupazionale, grazie anche al supporto di specifici programmi di ricerca e di scambio in ambito comunitario.

Da un’indagine di Almalaurea (2007), il consorzio delle più importanti università italiane, a cinque anni dalla laurea le ragioni dell’emigrazione (definitiva e a lungo termine) sono dovute, in quasi la metà dei casi, alla ricerca di migliori condizioni di lavoro solitamente presso grandi aziende. Coloro che hanno lasciato l’Italia si sono diretti prevalentemente verso il Regno Unito (19,2%), la Francia (12,6%), la Spagna (11,4%) e gli USA (9,8%).

Le lauree più ricorrenti tra quanti lavorano all’estero sono, come avviene in Italia, quelle del ramo letterario, linguistico, ingegneristico ed economico-statistico: invece, la laurea in giurisprudenza è maggiormente finalizzata alle esigenze del contesto italiano. Le percentuali di coloro che espatriano con titoli del ramo scientifico e tecnologico sono nettamente superiori a quelle che si riscontrano nel gruppo umanistico, anche se, in assoluto, il loro numero è piuttosto contenuto.

Le donne italiane laureate che si recano all’estero sono tanto numerose quanto gli uomini, ma la loro situazione è sensibilmente peggiore perché sono sottorappresentate a livello dirigenziale e percepiscono retribuzioni inferiori, anche se comunque più soddisfacenti rispetto agli standard italiani.

Con il trascorrere del tempo l’ipotesi di un rientro diventa sempre meno probabile, sia per le donne che per gli uomini: a 5 anni dalla laurea sono 52 su 100 i laureati occupati all’estero che considerano molto improbabile il loro ritorno. Ritorna così il tema della “perdita dei cervelli”, dovuta al fatto che l’Italia, a seguito di carenze ben note, non è in grado di esercitare una forte attrattiva per il loro ritorno, né di utilizzare a un livello più elevato i laureati italiani e gli immigrati presenti sul suo territorio.

Italiani senza essere nati in Italia: le seconde e le terze generazioni

Il totale degli iscritti all’Aire per nascita (1.280.065) attesta che il fatto di essere legati all’Italia senza essere nati sul suo territorio è una condizione piuttosto diffusa che riguarda 1 italiano all’estero su 3 e comporta, perciò stesso, una diversa maniera di intessere i rapporti tra madrepatria e diaspora, necessaria specialmente nel caso dei giovani.

Nell’ambito di questa categoria i giovani meritano un’attenzione specifica: si tratta delle seconde e, talvolta, delle terze generazioni di iscritti all’Anagrafe per “nascita” da genitore residente all’estero. Nel periodo 1990-2007, mentre 170.000 minori sono effettivamente emigrati dall’Italia con i loro genitori, quelli nati sul posto sono stati 433.691, in media 24 mila ogni anno (1 ogni 20 nascite registrate in Italia). Sono per lo più di origine meridionale da parte dei loro genitori (55%), ma non manca una forte componente settentrionale (31%), e risiedono prevalentemente nei paesi europei (65% del totale, di cui il 47% nell’UE) e americani (30%, di cui il 25,7% nell’America Latina).

Il loro legame con l’Italia è diverso da quello dei propri genitori e per essi è indispensabile mettere a punto nuovi parametri di intervento, facendo fronte a una  sfida molto impegnativa, come è stato avvertito con la programmazione di un’apposita Conferenza Mondiale (dicembre 2008).

Il legame con l’Italia, o senso di italianità, riveste diverse implicazioni sociali e culturali che i giovani di per sé non rifiutano, a condizione di esplicitarle in maniera concreta e di comporle con il fatto di vivere in un’altra società. Essi insistono su una maggiore cooperazione economica con i paesi dove risiedono e, molto pragmaticamente, restano aperti a uno scambio che li possa aiutare anche nella loro vita professionale. L’abitudinario, il superficiale, il retorico - che comunque è deprecabile anche per le altre categorie - per loro è assolutamente fuori posto.

Nel Rapporto Migrantes un capitolo è dedicato alla Francia, un paese dove circa 4 milioni di residenti sono di origine italiana, in un rapporto di almeno 9 a 1 rispetto a quelli che hanno conservato la cittadinanza. Gli italiani sono integrati nel sistema, parlano il francese, si sentono legati alla storia di questo popolo (anche quando non ne hanno la cittadinanza), ne condividono la cultura, ne vivono le forme di socialità, hanno rimodellato la propria identità, il tutto secondo un processo di stabilizzazione avanzato che li porta a fermarsi sul posto anche una volta giunti all’età di pensione. I rapporti con l’Italia non sono scomparsi, ma si sono allentati e anche i ritorni sono meno frequenti: molto dipende anche dalle reti locali e parentali. Il legame con l’Italia, quando viene salvaguardato, è più affettivo che giuridico, anche culturale se si vuole ma con un maggiore attaccamento al contesto francese, nel quale si è verificata una sorta di diluizione.

Le seconde e terze generazioni, come anche gli oriundi, costituiscono una realtà diversa rispetto agli emigrati di una volta, ma sono, comunque, una grande ricchezza che richiede un adattamento da parte dei politici, degli operatori e degli stessi studiosi.

Necessità di una politica migratoria rinnovata

E indubbio che per un organismo pastorale come la Fondazione Migrantes l’interesse all’emigrazione rivesta nelle motivazioni di fondo implicazioni religiose, che hanno un impatto sulla vita sociale e impongono di compiere un cammino insieme a tanti altri.

La Chiesa si occupa del settore non solo per garantire l’assistenza spirituale, da assicurare attraverso le Missioni cattoliche italiane e il collegamento con le strutture diocesane locali, ma anche per il significato stesso dell’emigrazione. Per un cristiano la partenza da un contesto conosciuto alla ricerca di una realtà più promettente è come la parabola dell’intera esistenza umana, un’esperienza ricca di significato, ma protesa verso orizzonti più alti. Proprio per questo motivo la Chiesa raccomanda un atteggiamento di disponibilità e solidarietà nei confronti di tutte le persone coinvolte nella mobilità, non solo gli italiani che vanno all’estero ma anche gli stranieri che vengono in Italia. “Emigrazione” e “immigrazione” fanno parte dello stesso “pacchetto” e in entrambi i casi l’integrazione è un obiettivo irrinunciabile.

Emigrazione e immigrazione sono anche un indispensabile supporto per il futuro dell’Italia in un mondo globalizzato. Gli italiani, che vivono direttamente nei paesi esteri, e gli immigrati, che hanno i loro parenti e le loro conoscenze nei paesi di origine, possono essere valorizzati come una vera e propria rete in grado di aiutare l’Italia sulle vie del progresso economico e del commercio mondiale. Attenzione, assistenza, promozione: queste sono alcune parole chiavi che guidano alla lettura del Rapporto Migrantes 2008.