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Né in terra né in mare...ma certo in cielo (G.Martino)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/08


  Straniero in ogni porto: è questo l’appellativo che i marittimi stessi si danno nella loro lunga attività lavorativa: straniero perché conosci solo le banchine in cui la nave attracca ed il tuo sguardo non arriva alla terra ferma della città in cui ti trovi; straniero perché non conosci la lingua parlata dagli operatori di quel porto e non puoi comunicare con loro; straniero perché non hai i soldi nella valuta utilizzata in quel Paese; straniero perché non riesci a capire e a farti capire per la diversità di cultura, di popolo di appartenenza  o religione a cui appartieni.

Il marittimo diventa anche straniero in casa sua quando, dopo lunghi mesi di navigazione, correndo ad abbracciare i propri cari scopre il figlio piccolo, nato mentre navigava e che non ha mai conosciuto, oppure quel figlio appena appena grandicello che è cresciuto e non si ricorda più del suo papà e si mette a piangere fra le braccia di chi tanto attendeva il momento del suo ritorno a casa. E più facile che sulla stessa nave marittimi di quattro o cinque diverse nazionalità diventino più familiari gli uni agli altri che non con i propri cari.

Straniera è anche la famiglia che rimane in attesa del ritorno di chi sta a bordo: straniera perché vive un “rapporto a distanza” senza gustare la quotidianità; straniera perché attende, a volte invano, una telefonata, a qualunque ora del giorno e della notte a causa dei diversi fusi orari del mondo, e che non riesce ad arrivare; straniera perché mai “completa” rispetto alle altre famiglie dei parenti e dei vicini, rispetto alla comunità sociale, politica, rispetto la comunità parrocchiale, rispetto alla sua città che nel frattempo è cambiata nella viabilità, nelle attività commerciali.

Nella vita di San Paolo, a cui in questo anno pastorale rivolgiamo uno sguardo attento, troviamo molte similitudini con la vita del marittimo. Davvero come il Buon Maestro e la gente di mare stessa anch’egli non aveva un posto dove posare il capo. San Paolo viaggia a bordo di fragili imbarcazioni. Subisce il naufragio, rischia di essere buttato a mare come ancora oggi succede ai clandestini sulle navi; vive lontano dalle sue “amate e care comunità”; incontra popoli di lingua, religione e cultura diverse. Soprattutto, Paolo di Tarso, sperimenta la fragilità della sua umanità e attraverso lettere, più o meno lunghe, sente il bisogno di rimanere in contatto con le molte “Chiese” di cui si sente un vero e proprio genitore. San Paolo sperimenta, diversamente, l’ospitalità dei nuovi popoli a cui porta la Buona Novella.

La gente di mare, spesso a causa di leggi protezioniste ed in nome dell’antiterrorismo, non ha neppure la possibilità di mettere un piede a terra, di fare una passeggiata lungo la banchina ove la nave è attraccata. Altrettanto spesso gli diviene impossibile uscire dai muri invisibili che circondano i porti e le varie aree di sicurezza e che gli abitanti di quella città non conoscono o ignorano del tutto. Facilmente trattati, a priori, come elementi di disturbo o peggio ancora “persone a rischio” questi lavoratori del mare vengono privati, di fatto, anche della possibilità di fare una telefonata, di spedire un pacchetto o semplicemente visitare una chiesa.

Un altro modo con cui i marittimi facilmente si appellano gli uni gli altri è quello di: “cittadini ad ore”. Quasi come se la cittadinanza si accorgesse di loro e, grata per la loro importante funzione sociale di trasportare oltre l’80 % di tutte le merci che consumiamo in Italia, gli concedesse per le poche ore di attracco una sorta di “cittadinanza ad honorem”.

I 30 centri Stella Maris che operano lungo le coste italiane tentano, in modi diversi, di essere accoglienti e ospitali affinché nessuno si senta straniero. Attraverso l’opera di cappellani e volontari che visitano quotidianamente le navi direttamente a bordo la Chiesa si rende visibile come il pastore che lascia le 99 pecore per andare in cerca di quella perduta. Non si tratta né di sconfiggere le paure e le resistenze dello straniero, del diverso e neppure di essere ospitali, si vuole essere, anche solo per un attimo, veri e propri familiari di Dio, persone della stessa famiglia, di una famiglia più grande che non riesce ad intravedere in nessun volto quello di uno straniero.

Così come quando i farisei cercano di trarre in inganno Gesù chiedendogli: “chi è il mio prossimo?”. Il Cristo risponde raccontando la parabola del buon samaritano e capovolgendo tutta la morale farisaica sottolinea come non sia importante chi è il nostro prossimo quanto invece la necessità, da parte di ciascuno di noi, di “farci prossimo” agli altri. Allo stesso modo la Stella Maris, presente nei porti, si propone come una vera e propria “casa lontano da casa... famiglia lontano dalla famiglia”. Una vera e propria Chiesa che si rende capace, attraverso i molteplici servizi che vengono offerti ai marittimi, ma soprattutto con un cuore che vuole assomigliare al cuore di Dio, di: “fare un ponte tra il mare e le case lontane”.

In realtà è proprio questa la funzione primaria dei nostri centri Stella Maris: soltanto una vera e propria comunità sperimentando di essere una Chiesa mandata, inviata dal Vescovo a portare il “lieto annunzio”, è espressione della Chiesa, della famiglia di Dio. Attraverso un cammino di fede e di apostolato i volontari della Stella Maris non trattano più il marittimo né come straniero e neppure come ospite ma si fanno essi stessi della stessa famiglia della gente di mare che incontrano, come San Paolo che si è “fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli” e si è “fatto tutto a tutti” (cfr. 1Cor  9, 19–22).

Con l’opera dei volontari Stella Maris, ogni Nave ed il “Centro” presente nel porto diventa luogo teologico dove far sperimentare agli oltre 4 milioni e mezzo di marittimi che transitano ogni anno per le coste della nostra Italia il senso di Chiesa. E la nostra capacità di diventare famiglia di Dio che fa sentire gli altri davvero “a casa”; davvero anch’essi della stessa famiglia, della famiglia di Dio a qualunque “Dio” essi dicano di credere.

Un marittimo mi raccontò come si sentisse davvero distaccato dalla gente della sua città, della sua famiglia e della sua stessa Chiesa. La moglie, nei momenti in cui sbarcato dalla nave si chiudeva in casa e non si intratteneva con nessuno, lo incoraggiava a partecipare almeno alla Santa Messa domenicale. Un giorno, dopo tante insistenze, finalmente si decise ad andare. Ascoltò svogliatamente le letture e omelia ma, dopo la professione di Fede, durante la preghiera dei fedeli rimase profondamente colpito da una intenzione che pregava il Signore per tutta la gente di mare, per i marittimi imbarcati e per i pescatori. Egli stesso mi disse quanto questa semplice preghiera lo avesse fatto sentire ancora una volta, ed ora per sempre, parte di una Chiesa che sembrava averlo dimenticato, parte di una Chiesa che non era più stata la sua famiglia per tanti anni ma che sempre si era dimostrata famiglia anche se lui non se n’era mai accorto.

Mi piace riportare queste belle significative parole di Paolo VI rivolte alla gente di mare. Esse confermano il loro ruolo nella Chiesa in quanto essi stessi sono parte della Chiesa: “Voi, gente del mare, aprite al mio pensiero orizzonti sconfinati e suggestivi, gli orizzonti dei porti e delle città marinare, gli orizzonti dell’umanità che affida alle onde il proprio destino per navigare, per lavorare, per trafficare, per esplorare, per tessere fra gli abitanti della terra relazioni di ogni genere. Voi fate del mare, che pare invalicabile elemento e che separa gli uomini fra di loro, una via di comunicazione, anzi la più largamente e febbrilmente percorsa. Voi avete per casa la nave, per campo di lavoro il mare, per patria il mondo”.