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Presentazione GMM del Presidente CEMI (L.B. Belotti)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 5/08


 

San Paolo suscita ammirazione e fascino in chiunque lo accosta attraverso gli Atti degli Apostoli e le sue Lettere. Ne è conferma anche il fatto che nelle librerie cattoliche è esposta tutta una biblioteca di libri e sussidi vari, pubblicati in occasione dell’Anno Paolino. Sarebbe meschino attribuire questo successo librario ad un’operazione di mercato indovinata; è il caso di vedervi la risposta a una forte richiesta di conoscere più da vicino questo gigante del cristianesimo: fame e sete di quella verità che per Paolo è condensata in un nome, Cristo, da lui proclamata a voce alta, vissuta in profondità e testimoniata in forme convincenti.

Siamo grati al Santo Padre che nel suo Messaggio per la prossima Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato ha aggiunto un’altra qualifica piuttosto inedita all’Apostolo delle genti, presentandolo “migrante per vocazione”, “autentico missionario dei migranti”, “migrante lui stesso e itinerante ambasciatore di Gesù Cristo”. Egli pertanto, se costituisce, come afferma il Santo Padre, “un significativo punto di riferimento… per quelli che sono coinvolti nel movimento migratorio contemporaneo”, lo è in modo del tutto particolare per quanti sono chiamati nella Chiesa a coltivare questo settore particolare della vigna del Signore, siano essi stranieri come i cappellani e i coordinatori etnici con i loro collaboratori, sia italiani, come i direttori diocesani e regionali della pastorale migratoria e tutta quella moltitudine di volontari che, nella vasta rete di attività caritative, assistenziali e di promozione umana, continuano l’opera del Buon Samaritano, nello stile e in nome del Vangelo.

Proprio a tutti costoro vorrei rivolgere  ora in modo speciale la mia parola. Benedetto XVI a conclusione del suo Messaggio invoca una particolare “benedizione divina su quanti sono impegnati ad aiutare i migranti”. Ed è singolare che anche nei suoi precedenti messaggi per le giornate mondiali delle migrazioni sia immancabile questo riferimento a quanti “spendono le loro energie nel campo della pastorale a servizio della mobilità umana” (2006), ed auguri loro che “la parola dell’Apostolo Paolo, Caritas Christi urget nos (2 Cor 5, 14), li spinga a donarsi preferenzialmente ai fratelli e alle sorelle che più sono nel bisogno” (2007); nel messaggio del 2008 dedicato ai giovani, il pensiero va agli “operatori pastorali che vi affiancano con la loro disponibilità e il loro sostegno amichevole”.

Se ci domandiamo in che cosa soprattutto S. Paolo possa costituire esempio e stimolo a chi, italiano o di altro Paese, opera nel mondo della mobilità, sulla scia del messaggio pontificio e in base all’esperienza che la Chiesa italiana ha accumulato  nel suo secolare servizio alle migrazioni, mi permetto di mettere in evidenza, fra i tanti spunti che potrebbero essere suggeriti, quelli che mi sembrano i più praticabili ed efficaci.

1° – Si dice che il sangue non è acqua. Lo dice anche S. Paolo con la sua attenzione, direi di più, con la sua passione verso i connazionali ebrei, tanto che nei suoi viaggi apostolici  è la sinagoga la sua prima tappa obbligata; e non solo in base a un gusto, a una scelta personale, ma per preciso mandato divino: “Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio” (At 13, 46). è nobile e ammirevole anche oggi l’amore appassionato con cui il cappellano etnico non limita il suo lavoro ad accogliere gli abituali frequentatori della sua chiesa,  ma va instancabilmente a ricercare anche fuori chiesa i lontani, quelli che la vicenda migratoria spesso riduce “pecore senza pastore”.

2° – Però l’operatore pastorale tra i migranti non si riduce a curare i “suoi” come fa la chioccia che tiene stretti sotto le ali i suoi pulcini: egli allarga come Paolo lo sguardo sull’universalità del Regno e con lui freme quando sente dire “Io sono di Paolo, io di Cefa, io di Cristo” e paventa il rischio che la Chiesa di Dio si frammenti in gruppuscoli, in Chiese parallele, emarginate ed emarginanti.

3° – Questo sguardo universale oltrepassa la frontiera fra cristiani e non cristiani, credenti e non credenti: chi si è lasciato “conquistare da Cristo” (Fil 3, 12) si sente necessariamente “Apostolo delle genti”; non consente frontiere ad una  evangelizzazione che può prendere forma anche di primo annuncio, dal momento che il 50% dei migranti presenti in Italia non ha ancora beneficiato di questo diretto annuncio. Per lui non è frase fatta, parola convenzionale dire che le migrazioni sono areopago di evangelizzazione.

4° – Paolo è modello esemplare di inculturazione, di questa capacità ammirevole di farsi tutto a tutti, adattandosi a tutto secondo le esigenze del Vangelo: egli parla di Mosè nelle sinagoghe, di filosofia ad Atene, usa immagini sportive in una città “moderna” come Corinto, tocca le fibre del cuore quando si tratta di raccomandare lo schiavo Onesimo. Nel mondo migrante non può esserci stile diverso da questo: vanno superati gli ostacoli che potrebbero derivare da diversità di lingua, di mentalità, di costumi e devo sentirmi libero da ogni vincolo che trattiene, disponibile a tutto perché il Cristo venga predicato.

5° – Per chi sta tra i migranti, se c’è una preferenza, questa è per i più bisognosi, per gli ultimi e di questi ultimi le migrazioni ne producono a gettito continuo: gente in condizione di irregolarità per il soggiorno e il lavoro, gente in stato di permanente precarietà e insicurezza. San Paolo avverte che proprio verso questo scarto di umanità il Signore mostra in tanti modi le sue preferenze (cf. I Cor 1, 27–29).

6° – Egli infine è modello e maestro di quella regola d’oro per ogni cristiano che è quell’accoglienza che in riferimento agli stranieri si chiama ospitalità: “Siate premurosi nell’ospitalità” (Rm 12, 13). A questa parola oggi balzano in primo piano le case di accoglienza, i centri di ascolto, i dormitori improvvisati per le tante emergenze ed anche i tanti gesti di accoglienza e di ospitalità che sono a portata di mano di tutti noi e dei nostri fedeli. Non deve mai mancare però quell’accoglienza che è apertura del cuore, prima che delle braccia e della porta di casa propria. Si assume quello stato d’animo e quella effettiva disponibilità che consenta di enunciare, senza venature di convenzionalità e tanto più di ipocrisia, che “nella Chiesa nessuno è straniero”, parole tanto simili, per non dire identiche a quelle  tratte  dalla Lettera agli Efesini, alle quali si ispira la Giornata Mondiale delle Migrazioni 2009: “Non più stranieri né ospiti, ma della famiglia di Dio”.

Ci affidiamo a questo grande apostolo perché qualcosa della sua affascinante personalità apostolica, anche a seguito di questa Giornata Mondiale, traspaia sempre di più nella nostra vita.