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Il sacerdozio comune come anima della mobilità umana: realtà ed esigenze (G.Bentoglio)


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 1/07


Il sacerdozio comune

Il Concilio Vaticano II ha fatto più volte riferimento all’autore anonimo dello scritto cristiano noto come Lettera a Diogneto per tracciare le coordinate essenziali dell’identità del credente. Egli «deve essere davanti al mondo un testimone della risurrezione e della vita del Signore Gesù e un segno del Dio vivo»1 (LG 38), a motivo della sua stessa vocazione: «ciò che l’anima è nel corpo, questo sono nel mondo i cristiani»2. L’antico testo, risalente al II secolo, spiega anche che, per i seguaci di Cristo, «ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera»3.

A partire da tale presa di coscienza, i Padri Conciliari hanno messo a fuoco anche la tipica dimensione missionaria dei credenti, con queste parole: «tutti i fedeli formano un sacerdozio santo e regale (…). Non vi è dunque nessun membro che non abbia parte nella missione di tutto il Corpo, ma ciascuno di essi deve santificare Gesù nel suo cuore e rendere testimonianza di Gesù con spirito di profezia»4. Pertanto, l’espressione del sacerdozio comune corre su doppio binario e alla medesima velocità: da una parte impegna ciascuno ad una vita spirituale autenticamente cristiana, vale a dire che il cuore del credente pulsa all’unisono con quello di Cristo; dall’altra emerge la coerente traduzione pratica di tale comunione, nel binomio testimonianza-profezia.

In maniera più estesa, poi, il Concilio precisa la distinzione tra sacerdozio ministeriale e comune, sottolineandone il reciproco ordinamento e spiegando che: «i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono all’oblazione dell’Eucaristia, e lo esercitano col ricevere i sacramenti, con la preghiera e con il ringraziamento, con la testimonianza di una vita santa, con l’abnegazione e l’operosa carità»5. Del resto, a fondamento di queste indicazioni possiamo rileggere, secondo la redazione dell’evangelista Marco, la finalità che ha mosso Gesù a costituire il gruppo apostolico, affinché «stessero con lui e anche per mandarli a predicare» (Mc 3,14).

Quindi, l’anima del sacerdozio comune coniuga azione e preghiera, profonda spiritualità e «fantasia della carità»6. Infatti, attribuirgli soltanto una delle due dimensioni significherebbe privarlo della potenza soprannaturale dello Spirito oppure ridurlo allo sforzo tutto umano della benevolenza filantropica, indubbiamente necessaria, ma insufficiente ad esprimere il dirompente dinamismo dell’agape evangelica.

Mondo del lavoro e pastorale migratoria

Forza dello Spirito e concretezza dell’amore sono, dunque, la doppia faccia dell’unica medaglia, che rende visibile le linee di ispirazione per l’espletamento del sacerdozio comune anche nella pastorale della mobilità umana: «la natura e la missione dei laici, secondo la concezione ecclesiologica del Vaticano II, ancorata alla comune dignità sacerdotale, profetica e regale dei membri del popolo di Dio, trova piena rispondenza nella mentalità richiesta dai fenomeni della mobilità umana»7. Cosa intendesse dire con questa dichiarazione la Pontificia Commissione per la pastorale delle migrazioni e del turismo, nel 1978, è chiaro soltanto se si tiene presente il quadro storico e socio-antropologico, oltre che teologico e spirituale, di un secolo di emigrazione italiana, in connessione con la specifica pastorale migratoria della Chiesa e con le radicali trasformazioni avvenute, a livello nazionale e internazionale, nella seconda parte del secolo XIX e nella prima del XX.

In particolare, bisogna rilevare la crescente attenzione delle comunità cristiane ai problemi sociali e il desiderio di offrire un’autentica e visibile testimonianza anche negli ambiti della politica e dell’impegno socio-umanitario. La Chiesa, anzi, ha avvertito sempre più forte l’esigenza di rafforzare il dialogo con il mondo del lavoro e, in esso, con gli inarrestabili flussi migratori, che caratterizzano ormai in misura strutturale l’intero assetto mondiale.

A tale riguardo, nell’Enciclica Centesimus annus, a distanza di un secolo dalla famosa Rerum novarum di Leone XIII (1891), Giovanni Paolo II sottolineò che i flussi migratori assumono un’importanza sempre maggiore nella storia contemporanea e costituiscono una precisa indicazione del profondo stato di malessere in cui versa l’umanità. Il Papa ribadì che se il diritto al lavoro e alla libertà non veniva rispettato, l’esodo forzato sarebbe diventato, per milioni di persone, l’unica alternativa. Infatti, una società, in cui questo diritto sia negato e le misure di politica economica non consentano ai lavoratori di raggiungere livelli soddisfacenti di occupazione, non può conseguire né la sua legittimazione etica né la pace sociale. In tal modo, il Papa offriva una riflessione di valore per affrontare le questioni concernenti l’esodo migratorio di singoli e di collettività, dando indicazioni etiche sulla nuova politica da perseguire a livello internazionale, anche sollecitando strategie idonee per la corretta azione di tutti i fedeli, nell’ambito della giustizia e della pace. Tale visione esortava soprattutto i responsabili cristiani della gestione politico-amministrativa delle nazioni a un drastico cambio di rotta nei rapporti internazionali, puntando a una più equa ripartizione delle risorse e a una più attenta ed efficace risposta  ai bisogni della società. «E opportuno - scriveva - rompere le barriere e i monopoli che lasciano tanti popoli ai margini dello sviluppo, assicurare a tutti - individui e nazioni - le condizioni di base, che consentano di partecipare  allo sviluppo. Tale obiettivo richiede sforzi programmati e responsabili da parte di tutta la comunità internazionale»8.

Flussi migratori, cooperazione e ordine internazionale divengono così il ritratto tridimensionale della medesima realtà. Tale interdipendenza comporta, a motivo della centralità della persona umana, una attenzione specifica alla cura del migrante e alla tutela dei suoi diritti - individuali, sociali, sindacali, religiosi - in quanto persona umana e in quanto migrante.

Il campo specifico della pastorale della mobilità umana

In questo panorama si inserisce l’azione tipica dei credenti, in forza del loro comune sacerdozio, connotata dalla sensibilità tutta cristiana per la persona umana: «la fondamentale esigenza di permeare del fermento cristiano il mondo in movimento, per essere interamente appagata, postula che i fedeli laici siano formati, incoraggiati e sostenuti nell’esercizio delle precise responsabilità derivanti loro, non da ruoli suppletivi o da aspetti contingenti, ma dalla vocazione cristiana»9. E proprio la comune vocazione battesimale da una parte motiva i responsabili delle Chiese locali, vescovi e presbiteri, a favorire il coinvolgimento di tutti a favore di fratelli e sorelle che vivono in condizioni di mobilità umana e, dall’altra, incoraggia i singoli credenti e le comunità cristiane ad offrire generosamente tutte le risorse disponibili - spirituali, umane e materiali - per soccorrere quanti affrontano i disagi e, non di rado, i drammi della mobilità.

Del resto, le situazioni insostenibili che emergono con sempre maggior recrudescenza sono ben note e nessuno può esimersi dal sentirsi interpellato a darvi risposta: tra queste, la crescente violazione dei diritti umani dei migranti, spesso trattati come criminali e terroristi; la tratta e il traffico di esseri umani, soprattutto di minori e donne, anche per lo sfruttamento sessuale; l’aumento di rifugiati e profughi, nonché di immigrati irregolari; l’inasprimento delle leggi migratorie, sempre più rigide e discriminanti; l’erezione di muri contro la libera circolazione delle persone; la situazione precaria della gente di mare e di milioni di itineranti di diverse tipologie; infine, il processo di globalizzazione, che svela la tensione tra le leggi sulle migrazioni e la lotta per la sopravvivenza.

Interventi e prospettive

Nella pastorale della mobilità umana, dunque, la sinergia di tutte le componenti ecclesiali è chiamata ad esprimersi ai suoi massimi livelli. Le prerogative della vocazione battesimale, comunque, potranno manifestarsi negli ambiti più diversi, a partire dalla forza della testimonianza e dell’annuncio: «è da considerare la possibilità, nei luoghi in cui non ci siano Presbiteri disponibili, di riunire, anche nelle comunità di immigrati, le cosiddette assemblee domenicali senza Sacerdote (cfr. CIC can. 1248, §2), dove si prega, è proclamata la Parola e si distribuisce l’Eucarestia (cfr. PaG 37), sotto la guida di un Diacono oppure di un Laico a ciò legittimamente preposto»10.

Dalla vita di fede, coltivata sia nella sfera privata che nella celebrazione comunitaria, risulteranno, come naturale conseguenza, tutta una serie di interventi ugualmente significativi e impegnativi. Sotto questo profilo, sarà necessario approfondire la riflessione sul diritto, la dignità e la centralità del lavoratore, soprattutto del lavoratore straniero, oltre che dei membri della sua famiglia; insieme alle agenzie governative e sindacali più sensibili, esaminare gli effetti della globalizzazione sul territorio e cercare risposte adeguate alla disoccupazione e all’esclusione sociale, che talvolta si manifesta anche in forme di intolleranza e di xenofobia; proporre uno stile diverso dalla cultura consumistica e individualistica, che valorizzi la condivisione, la solidarietà e lo scambio interculturale; sollecitare spazi di consultazione, nei fori nazionali e internazionali, alla ricerca di obiettivi e valori che tengano conto della centralità della persona umana e del bene comune universale.

In ogni caso, varrà ribadire quanto recentemente ha affermato, nella sede delle Nazioni Unite, l’Osservatore Permanente della Santa Sede, individuando le linee maestre per l’impegno dei credenti, in forza del loro battesimo, nel contesto della mobilità umana: «i migranti sono diventati un’importante fonte di lavoro. Essi non solo guadagnano un salario per se stessi e per le loro famiglie, ma, con l’assenso dei legislatori e dell’elettorato, possono diventare anche un importante motivo di benessere per i Paesi che li ospitano, con il mantenimento del livello di vita mediante il loro contributo all’economia locale. I migranti sono spesso motivati dal semplice desiderio di lavorare per mantenere le loro famiglie. Essi pure meritano equa retribuzione ed equa protezione sotto la legge, se non altro perché si adattano a fare quei mestieri che nessun altro accetta. Soluzioni legali devono essere individuate per favorire la riunificazione familiare, non solo per la salubrità della vita familiare, ma anche a beneficio sociale e morale delle comunità locali. Troppo spesso la mancanza di una normale vita familiare conduce a mali come il traffico di esseri umani e la prostituzione ai margini delle comunità dei migranti. Il mercato di questa moderna schiavitù può essere sconfitto permettendo alle famiglie di vivere in unità nei Paesi d’accoglienza»11.

Conclusione

Le persone coinvolte nella mobilità umana sempre più alimentano la consapevolezza che ogni risultato ottenuto è frutto di infiniti momenti di riflessione, di collaborazione, di solidarietà e di scelte coraggiose: si tratta dello sforzo comune di milioni di uomini e donne che si costituiscono in forme sempre nuove, attraverso l’esperienza pagata nel quotidiano, a tutela della dignità e della sacralità della persona umana.

Del resto, tra i compiti che il compianto Giovanni Paolo II ha assegnato a tutti i battezzati, a motivo della loro vocazione cristiana, vi è anche quello della “lotta”: infatti, il raggiungimento di più giuste condizioni sociali e di lavoro, ma anche di una società più fraterna e solidale, non è frutto di automatismi, ma esige un confronto talvolta anche duro. Si tratta, evidentemente, della lotta per la giustizia, il cui obiettivo è la tutela e la promozione integrale della persona umana, a fianco al bene comune universale12.

In sostanza, il sacerdozio comune è davvero anima della mobilità umana, per il fatto che «le migrazioni attuali pongono ai cristiani nuovi impegni di evangelizzazione e di solidarietà (…). I cristiani sono chiamati perciò a testimoniare e praticare, oltre allo spirito di tolleranza - che pure è una grandissima acquisizione politica e culturale, e anche religiosa -, il rispetto dell’altrui identità, avviando, dove è possibile e conveniente, percorsi di condivisione con persone di origine e cultura differenti, in vista anche di un “rispettoso annuncio” della propria fede»13.

 

 

 

  1 Lumen Gentium 38; vedi anche Dei Verbum 4; Ad Gentes 15

  2 Lettera A Diogneto 6,1

  3 Id. 1,5

  4 Prebyterorum Ordinis 2

  5 Lumen Gentium 10

  6 Novo millennio ineunte 50

  7 Chiesa e mobilità umana 30

  8 Centesimus annus 35

  9 Chiesa e mobilità umana 30

10 Erga migrantes caritas Christi 45

11 Intervento della Santa Sede alla 45ma Sessione della Commissione per lo sviluppo sociale del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite, 09.02.2007

12 Cfr Centesimus annus 35

13 Erga migrantes caritas Christi 9