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Diamo voce ai cattolici albanesi in Italia


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 4/01


-DIAMO VOCE AI CATTOLICI ALBANESI IN ITALIA
SIMPOSIO PASTORALE, ROMA, 19-20 MAGGIO 2001
di Bruno Mioli
"Un convegno con gli albanesi e per gli albanesi? Un buco nellŽacqua". è un caro amico che parla, ma questa volta in veste di profeta di malaugurio. Per fortuna si è sbagliato. Il convegno lo si è fatto, è riuscito al di là delle migliori previsioni. Ha lasciato un segno che non è un buco nellŽacqua perché ha inciso nei cuori, nella memoria ed ha lasciato tanta voglia di rimboccare le maniche. Se ne è già fatta una rapida cronaca su un numero speciale di Migranti-press; chi ne vuol sapere di più, può sfogliare gli atti che, redatti nella veste dimessa e familiare di un ciclostilato, riportano in dettaglio quanto è successo quel 19 e 20 maggio 2001, presso lŽIstituto Maria Bambina a ridosso del colonnato di S. Pietro.Un appuntamento che non si è voluto rivestire del nome pomposo di convegno; ma semplicemente di "simposio" anche per sottolineare il clima di schietta amicizia e di festa che avrebbe dovuto caratterizzarlo; due giorni dŽincontro che non dovevano risultare soltanto una breve anche se esaltante esperienza, ma una vera e propria pedana di lancio per unŽavventura da condividere assieme, anche dopo lŽincontro, dal nord al sud della penisola sia tra immigrati albanesi, che tra albanesi e italiani. è infatti il caso di rilevare che tra i 170 partecipanti, provenienti da venticinque diocesi distribuite in dieci regioni dŽItalia, con una qualificata rappresentanza della Chiesa dŽAlbania, quasi un terzo erano operatori socio-pastorali italiani, gli altri erano albanesi e, più precisamente, immigrati cattolici albanesi.Ma comŽè nata lŽidea di questo simposio? Da diversi anni è operante presso la CEI il Coordinamento Albania per costituire in rete le molteplici forze della Chiesa italiana attive oltre lŽAdriatico a fianco della Chiesa albanese. Basti dire che settanta istituti religiosi femminili e una ventina di maschili vi sono presenti con una grande varietà di iniziative e opere di carattere assistenziale, promozionale ed anche strettamente pastorale. Per fare il punto della situazione le due Chiese si sono date convegno con tre Forum, lŽultimo dei quali, dal titolo "Oggi, per lŽAlbania di domani" lo si è celebrato non a Roma ma a Tirana in pieno anno giubilare. Fu appunto durante questi tre Forum che la Migrantes ha sempre più focalizzato anche la situazione religiosa degli albanesi immigrati in ItaliaE non si tratta di una piccola frangia: allŽinizio di questŽanno se ne contano circa 170.000; se poi vi si aggiungono gli irregolari, si sorpassa abbondantemente quota 200.000, che corrisponde a quasi il 7% della popolazione albanese. Tanti di loro sono di matrice cattolica, ma probabilmente per i più cŽè ancora bisogno di una prima evangelizzazione; per tutti poi cŽè bisogno di riscoprire la dimensione religiosa della loro vita, che è stata violentemente repressa durante il mezzo secolo di ateismo di stato. La Chiesa è debitrice del Vangelo verso tutti, ma particolarmente verso chi dal Vangelo per così lungo tempo fu tenuto forzatamente lontano.La Migrantes ha fatto tutta la parte sua perché tra le Conferenze Episcopali della Chiesa albanese e italiana intercorresse un discorso esplicito su questo grave e urgente problema. Da uno scambio di corrispondenza fra le due Chiese è risultato che da parte albanese si vede la necessità e lŽurgenza di interventi anche sul piano religioso in favore degli immigrati albanesi, ma non si hanno forze pastorali, in particolare sacerdoti, da mettere a disposizione; si prega pertanto la Chiesa italiana di provvedere come meglio può con forze pastorali presenti in Italia. La CEI ha recepito lŽesplicita richiesta e lŽha trasmessa alla Migrantes, perché studiasse le possibilità di dare qualche concreta risposta. Una accurata indagine da parte della Migrantes a livello nazionale ha portato alla constatazione di una realtà che solo in parte era nota e in parte ha costituito una gradita sorpresa: in diverse diocesi uno specifico servizio pastorale per gli albanesi è già in atto, in altre è in via di costituzione; inoltre tra i catecumeni che dopo il pluriennale percorso di catechesi si accostano al fonte battesimale cŽè sempre una buona percentuale di albanesi. Gli operatori pastorali tuttavia che con lodevole zelo si danno a questŽopera di cura pastorale e di prima iniziazione alla vita cristiana sono pienamente coscienti che si tratta da parte loro di opera parziale, che va completata e approfondita da chi comprende "dal di dentro" questi fratelli che sono della nostra stessa fede ma sono tanto diversi da noi per lingua, cultura e tradizione. Insomma perché gli italiani emigrati sono stati e sono tuttora assistiti da sacerdoti e da altri operatori pastorali italiani e per i cattolici albanesi non si provvede allo stesso modo? Sorge così la domanda: come poter disporre di almeno un sacerdote che, in funzione di coordinatore nazionale della pastorale per i cattolici albanesi in Italia, sia in grado di sostenere, moltiplicare e costituire in rete le varie comunità, piccole e grandi, che si vanno costituendo su tutto il territorio? Dopo lunga ricerca, si è prospettata alla Migrantes una soluzione veramente soddisfacente, grazie alla disponibilità di un sacerdote, originario della Eparchia di Lungro in Calabria, di dedicarsi a questo ministero, mettendo a disposizione degli albanesi di oggi la sua perfetta conoscenza di lingua e cultura albanese e soprattutto la "consanguineità" che gli deriva dalla sua appartenenza al ceppo albanesi trapiantato in Italia nei secoli scorsi.Gli spiragli di luce che inducono ad impostare con fiducia un piano di pastorale specifica per gli albanesi non devono far accantonare quel sano realismo che spinge a guardare in faccia la realtà: la grande massa degli albanesi sembra notevolmente estranea alla problematica religiosa, oggi più che dieci anni fa, quando si era agli inizi del grande esodo: allora i "profughi" fuggivano da un regime già in rapido processo di sfaldamento, ma ancora visto come spettro repressivo e persecutorio, sotto il quale alcuni tra i fuggiaschi avevano vissuto un cristianesimo di catacomba o avevano avuto dei familiari perseguitati e incarcerati; almeno per una piccola minoranza di loro, lŽesodo verso lŽItalia era vissuto come un ritorno alla libertà anche religiosa; di qui da parte loro una positiva ricerca di contatto con la Chiesa o almeno lŽassenza di prevenzioni verso la comunità ecclesiale, così attenta e disponibile nei loro confronti.Le ondate successive, al contrario, hanno perso in carattere di esodo per assumere quello della vera e propria emigrazione per lavoro e, in certi casi, di avventura: in costoro il problema religioso è solitamente assente o perlomeno molto assopito; prevale la ricerca, non del tutto assente anche nei primi anni di fuga dallŽAlbania, di un interesse immediato, la mira di accattivarsi benevolenza e beneficenza presso la Caritas e le tante iniziative di solidarietà dellŽarea ecclesiale.Si constata inoltre tra gli immigrati albanesi una forte spinta individualistica, uno scarso spirito solidaristico che rende difficile il loro aggregarsi disinteressato, lŽattenzione allŽaltro e a un bene comune che non si traduca in un immediato tornaconto personale. Generosi e promettenti esperimenti, a Roma e fuori Roma, di avviare qualcosa di sistematico in loro favore sul piano pastorale hanno spesso trovato un insormontabile ostacolo in questa situazione. Insomma gli albanesi stentano, più degli immigrati di altre etnie, a stare al gioco di squadra. Si rileva poi una certa volontà di dominanza degli uni sugli altri, atteggiamenti di protagonismo, di pretesa, talora di prepotenza e di scarso senso della legalità.Si aggiunga che lŽimmagine degli albanesi è molto deteriorata nellŽopinione pubblica italiana ed anche nellŽambiente ecclesiale. In parte lo si può spiegare in base agli accennati fattori, ma pure a causa della forma caotica, irregolare, massiva, persistente del loro arrivo in Italia e, di conseguenza, del loro inserimento: giovani senza famiglia, costretti a vivere di lavori precari e talora di espedienti, spesso in situazione di irregolarità non solo per il lavoro ma pure per il soggiorno. Basti dire che oltre quarantamila nel 1998-1999 hanno cercato di usufruire dellŽultimo provvedimento di sanatoria. Si crea comprensibilmente un impatto negativo sulla gente, tanto più che i mass media sono abbondanti di informazioni e documentazioni anche televisive sullŽarrivo spericolato degli scafi, che purtroppo spesso portano anche un carico di armi, droga e donne da immettere nel mercato della prostituzione. Sta poi il fatto che la devianza di vario genere, anche sotto forma di violenta criminalità, sta in massima parte tra le file dei clandestini; e gli albanesi vi sono altamente rappresentati. Tutto questo comporta un allarme sociale che da una parte allontana gli italiani da questa categoria di immigrati, dallŽaltra allontana gli stessi immigrati dallŽapproccio agli italiani, sentendosi in forma più o meno esplicita bersaglio di giudizi severi; giudizi che ricadono non soltanto sulla frangia sospetta e irrequieta, ma sullŽalbanese in quanto tale. è chiaro che in tale situazione anche lŽapproccio pastorale diventa più difficile.Si è convinti che tale servizio pastorale debba essere preceduto e accompagnato da una paziente opera di bonifica del terreno. Una bonifica anzitutto per quanto riguarda gli italiani: perché assumano un atteggiamento di maggiore comprensione e tolleranza e non si lascino influenzare da pregiudizi e generalizzazioni, perché anzi dimostrino una concreta solidarietà e incoraggino questi immigrati albanesi a uscire da una situazione di cui sono più vittime che responsabili; una bonifica anche per quanto riguarda gli albanesi stessi, perché si aiutino tra di loro a raffinare il senso della correttezza e della legalità nei rapporti tra di loro e con gli italiani. Ci si trova, dunque, complessivamente di fronte a uno stato di cose che non favorisce lŽintervento pastorale, che tuttavia non ha finora scoraggiato molti operatori dal persistere nei loro generosi tentativi. Cominciano a maturare, come sŽè detto, i primi frutti.Alcuni mesi prima del convegno è stata inviata a singoli albanesi cattolici e ad alcuni gruppi il formulario per una inchiesta su questi punti: come ti trovi in Italia, per il lavoro, per la famiglia, per il rapporto con gli italiani e con i connazionali? è possibile vivere la propria fede allŽestero in condizione di emigrati, quali le difficoltà, quali i sostegni finora trovati? Fra i cattolici cŽè esigenza di costituirsi in comunità di fede e di culto come gli altri immigrati cattolici o si preferisce far capo alle parrocchie italiane oppure si vede bene lŽuna cosa e lŽaltra? CŽè desiderio di creare gruppi, associazioni, collegamenti tra gli albanesi e con quali obiettivi?AllŽinchiesta sono giunte circa duecento risposte, di cui è stato fatto dettagliato rapporto durante il convegno. Si ha lŽimpressione che queste risposte siano un poŽ troppo positive e non siano pertanto una radiografia obiettiva della situazione degli albanesi in Italia. Molti tuttavia hanno rilevato che non necessariamente si tratta di una sfasatura intenzionale, anzi probabilmente non si tratta nemmeno di una sfasatura, se si tiene conto dei destinatari dellŽinchiesta: questa infatti è stata rivolta a singoli e gruppi che gravitano già attorno a realtà ecclesiali, le quali probabilmente, oltre a offrire un servizio religioso, hanno contribuito, talora in modo determinante, a far loro superare scabrose situazioni di emergenza quanto al soggiorno, al lavoro, allŽalloggio, al ricongiungimento familiare, al rapporto con gli italiani e, in genere, al processo di integrazione. Si comprende che costoro forse non esagerano quando dicono che in Italia si trovano bene o addirittura benissimo. Certo, questi non sono un campione obiettivo della grande massa degli albanesi presenti in Italia, ma descrivono con sincerità la loro condizione personale o di gruppo. I risultati dellŽinchiesta dunque possono contenere un notevole valore, perché incoraggiano a concludere che anche per gli albanesi, se adeguatamente incoraggiati e sostenuti, è aperta la strada verso una normalità di vita. In altri termini, gli intervistati hanno alle spalle unŽesperienza favorevole che li autorizza a dire ad altri connazionali meno fortunati: "Coraggio, per noi la bufera è passata e per noi, grazie al sostegno avuto, le cose cominciano ad andare meno male; lo stesso potrà essere per voi".Al convegno non si è tenuta nessuna vera e propria relazione; solo testimonianze, talora a modo di sfoghi personali, molto toccanti e intercalati anche da pianto; talora come descrizione di quanto si sta facendo o si ha intenzione di fare tra gli albanesi e per gli albanesi nelle varie parti dŽItalia, sia in grandi città, sia in centri di medie dimensioni, come Saluzzo e Negrar al Nord, Civitella e Avezzano al Centro, Crotone e Lecce al Sud. Ci si è trovati di fronte a una ricca varietà di situazioni: a cristiani quasi ancora neofiti ed altri già radicati nella vita cristiana, entusiasti e decisi a farsi banditori del messaggio cristiano tra i propri connazionali; alcuni sono ancora alle prese con le prime urgenze, altri - non molti in verità - sono già bene sistemati anche professionalmente; un buon numero è attivamente inserito nella comunità parrocchiale, la totalità si dice disponibile a collaborare, far sorgere o consolidare sul territorio la comunità di cattolici albanesi. è unanime anche la richiesta di potersi incontrare ogni tanto con un sacerdote che li capisca nella loro lingua e nel loro mondo interiore. Incoraggia poi il fatto che la maggior parte degli albanesi presenti è stata accompagnata al simposio da direttori diocesani della Migrantes o da altri sacerdoti italiani, i più qualificati a tradurre le buone intenzioni e progettazioni in azione concreta nelle proprie diocesi. Ed anche questo è molto incoraggiante e dà fiducia che le proposte, accolte con applausi dallŽassemblea a conclusione del simposio, non rimangano lettera morta. Tali proposte, data la loro notevole importanza, verranno riportate integralmente a seguito di questo articolo."Un saluto particolare ai partecipanti al Convegno sul tema "Diamo voce ai cattolici albanesi in Italia", promosso dalla Fondazione Migrantes della Conferenza Episcopale Italiana. Possa questo incontro nazionale dare un valido impulso al servizio pastorale per i cattolici albanesi, affinché essi siano bene inseriti nella comunità ecclesiale. La Chiesa, infatti, è casa e scuola di comunione e in essa nessuno è straniero". Non poteva esserci conclusione più felice al simposio di queste parole del S. Padre rivolte domenica 20 maggio al momento dellŽAngelus ai convegnisti radunatisi in Piazza S. Pietro. Naturalmente al Papa era stata fatta per tempo segnalazione di questo singolare gruppo, desideroso di porre sui suoi lavori il sigillo del saluto e della benedizione del Papa. Ai partecipanti al convegno si erano aggiunti altri albanesi, anche gruppi familiari con i propri bambini, da Roma e da Civitella S. Paolo. "Andiamo a restituire la visita al Papa", si era sentito dire da parte di qualche albanese, con chiara allusione alla memorabile visita che il S. Padre aveva fatto nel 1993 allŽAlbania ed in particolare alla città di Scutari, da sempre roccaforte del cattolicesimo albanese. Lo sventolio delle centinaia di bandierine rosse dove campeggiava lŽaquila bicipite, noto emblema del Paese delle Aquile, dava colore e vita a quel momento indimenticabile. è poco parlare di soddisfazione a vedere lŽentusiasmo di questi immigrati, in maggioranza giovani. Di questa festosità schietta ed espansiva rimane ricordo nelle tante foto scattate al gruppo che per un istante, prima di sciogliersi, ha posato di fronte alla facciata della Basilica di S. Pietro, quello scenario maestoso che stava sempre di fronte, anche durante i due giorni dŽincontro. Molto vivaci ed eloquenti i commenti che si raccoglievano qua e là dalla bocca di tanti albanesi: "Ora anche noi albanesi possiamo tenere alta la testa - Un momento come questo non lo dimenticheremo più - Almeno tra le mura della Chiesa non ci sentiamo stranieri o clandestini - La Chiesa parla di accoglienza e fa accoglienza: tanti si fermano alle parole, ma cŽè chi le accompagna con i fatti - Oggi abbiamo visto una mano benedicente e questo ci compensa delle tante dita alzate contro di noi e ci rimette in marcia".