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Disabilità, Esperti
"Chi manca oggi in Chiesa?"
Don Giuseppe Morante



Ufficio Catechistico Nazionale - disabili e catechesi


I disabili, la pastorale e la catechesi
di Giuseppe Morante


1. L´handicap interpella pastori e catechisti


Vorrei partire da un episodio che evidenzia qualche deficienza pastorale. Capto al volo una domanda che un catechista rivolge ad un gruppo di ragazzi: "Perché manca oggi tra di noi Fabio, il ragazzo disabile che abita in via Dante?".
Rilevo alcune risposte dei ragazzi: forse perché i suoi genitori non vogliono mandarlo in parrocchia; perché nessuno ha potuto accompagnarlo; perché non si trova bene tra noi, e ha preferito guardare la TV in casa; perché gli è stato detto che non potrà accedere al sacramento della Confermazione; perché l´ultima volta è stato trattato male da un compagno e non vuole più venire…
Un episodio come questo evidenzia che la comunità cristiana deve ancora camminare molto nell´accoglienza delle persone disabili; riconoscerne il valore, la dignità e peculiarità e considerarli soggetti attivi all´interno della comunità anche quando sono in gravi condizioni.
E´ necessario considerare che la presenza di questi battezzati nella comunità parrocchiale non è solo un riconoscimento dei loro diritti. E´ soprattutto un bene per i credenti normali in cui fa nascere il desiderio di instaurare relazioni caratterizzate da continuità e significatività, che superino il solo momento catechistico fino a farsi carico della persona disabile nella globalità dei suoi bisogni. Il magistero, a questo proposito, è molto esplicito, quando afferma che "ogni battezzato, per il fatto stesso del Battesimo, possiede il diritto di ricevere dalla Chiesa un insegnamento ed una formazione che gli permettano di raggiungere una vera vita cristiana" (CT, n. 14). Tutti hanno diritto ad essere iniziati a conoscere e vivere il dono della fede.


2. Integrazione, normalizzazione, personalizzazione


L´orientamento pastorale che favorisce la partecipazione dei disabili alla vita della comunità cristiana deve essere ispirato e sostenuto dagli stessi principi acquisiti nel


le realtà educative e sociali, e verso cui deve camminare: l´int


egrazione, la normalizzazione e la personalizzazione.
Obiettivi certamente difficili; ma che non possono essere misconosciuti, nascondendosi spesso dietro motivazioni speciose e non certamente evangeliche. In realtà può essere facile aiutare qualcuno senza accoglierlo pienamente.
Obiettivi certamente difficili; ma che non possono essere misconosciuti, nascondendosi spesso dietro motivazioni speciose e non certamente evangeliche. In realtà può essere facile aiutare qualcuno senza accoglierlo pienamente. La carità è molto più impegnativa di una beneficenza occasionale. La prima coinvolge e crea legame; la seconda si accontenta di un gesto. I semplici gesti, come beneficenza una tantum verso i disabili, non sono sufficienti a creare la mentalità di una pastorale rinnovata.
L´INTEGRAZIONE costituisce la possibilità concreta che il disabile sia considerato "dei nostri", opponendosi alla tendenza, venerata da una presunzione di privilegio, che li spinge all´isolamento, alla segregazione e alla marginalizzazione, quando nella comunità parrocchiale non vengono offerte condizioni favorevoli all´accoglienza. Non si realizzerà l´integrazione, se non si supera l´atteggiamento della tolleranza, che è considerato forse più che normale. L´integrazione comporta l´impegno a rendere la persona handicappata un soggetto a pieno titolo, secondo le sue possibilità, anche nell´ambito della vita parrocchiale. La comunità cristiana non può ammettere nel suo seno cristiani di serie diverse, operando delle discriminazioni.
La NORMALIZZAZIONE implica lo sforzo teso alla riabilitazione comunitaria completa delle persone handicappate; e, ove ciò non risulti possibile per gravi deficit, alla realizzazione di un quadro di vita o di attività che si avvicina, il più possibile, a quello normale. Il solo considerare che ogni persona è irripetibile (con i suoi pregi e i suoi limiti) fa si che nella comunità ci si consideri cias
cu
no con la sua specificità, che non è migliore degli altri, ma solo diversa l´una dall´altra.
La PERSONALIZZAZIONE mette in luce che nelle cure di vario genere, come pure nei diversi rapporti educativi e religiosi tendenti a superare i limiti degli handicap, si deve sempre partire, dal considerare il valore di ogni persona e promuoverne la dignità, il benessere e lo sviluppo integrale, in tutte le sue dimensioni e lo sviluppo integrale, in tutte le sue dimensioni e facoltà fisiche, morali e spirituali.
Lo stile di accoglienza condurrà la comunità cristiana a pianificare una pastorale che non ponga il disabile al centro come "oggetto di interessamento", emarginandolo in concreto nel quotidiano; ma farà in modo che si prenda cura di lui come membro attivo della comunità avente particolari bisogni. Solo a queste condizioni si eviterà quell´atteggiamento, che purtroppo ancora favorisce l´infantilismo ed una presentazione puerile della religione.
Di questo stile di pastorale intende farsi carico la Chiesa italiana quando scrive:
"Con premura speciale, i catechisti devono prendersi cura di coloro che hanno maggiore bisogno, perché più poveri, più deboli, meno dotati. Proprio a loro Cristo ha voluto mostrarsi strettamente vicino e unito, annunciando che la lieta novella data ai poveri è segno dell´opera messianica. Essi vanno avvicinati con zelo e simpatia. Si devono studiare e attuare forme di catechesi che meglio rispondono alle loro condizioni" (RdC, n° 125).
"La debolezza dei disadattati e subnormali, per difficoltà di carattere fisico, psichico e sociale, appare, sotto molti aspetti, ancora più grave. Soprattutto ai fanciulli in tali condizioni, bisogna assicurare forme appropriate di catechesi ed educatori pedagogicamente specializzati" (RdC, n° 127).
"Non si tratta di semplice preoccupazione pedagogica, ma di una esigenza di incarnazione, essenziale al cristianesimo" (RdC, n° 96).


3. Concretamente, come muoversi in parrocchia?


Un forte impegno comun
itar
io è necessario perché tutte le persone, senza distinzioni, possano crescere nella fede della Chiesa. Ma, come per tutte le grandi imprese di ispirazione evangelica, si può incominciare da poche cose, semplici e concrete. I cosiddetti cristiani "normali" si devono imbattere in esse e rimanerne benevolmente provocati. Si tratta di azioni pastorali possibili, tradotte in iniziative concrete, che orientano verso il raggiungimento dell´integrazione, della normalizzazione e della personalizzazione dei disabili. Chi si lascia prendere da questa urgenza, troverà in sé capacità e modi. Soprattutto bisogna essere geniali nel trovare i canali per pubblicizzare l´iniziativa presso coloro che partecipano alle normali attività di una parrocchia (senza rimproveri e imposizioni). Presentiamo brevemente le "cose da fare" in parrocchia.


- Conoscere le persone con handicap sul proprio territorio


Lo si farà attraverso indagini, centri di ascolto, osservatori sociali. Un´opera di monitoraggio nell´ambito territoriale della parrocchia può portare immediatamente a due benefici.
Il primo permette di realizzare una sensibilizzazione iniziale della comunità, che comincia appunto a rendersi conto di "chi manca abitualmente in parrocchia, e per quale motivo". I disabili battezzati che non partecipano alla vita della comunità forse non ne sono sempre responsabili in prima persona. E questo vale soprattutto per chi ha bisogno materiale di essere aiutato da chi è normale…
Il secondo beneficio è da vedersi nell´incentivo a facilitare la disponibilità all´accoglienza, all´offerta di aiuto e alla collaborazione "missionaria".


- Accogliere le persone disabili offrendo coinvolgimento e amicizia nella vita della comunità


Senza una preventiva conoscenza della situazione, si può essere portati a pensare che il loro stato non ci tocchi, perché non è compito nostro. Questo distacco, in genere, favorisce la logica della delega che carica su alcuni un compito comunitario che appartiene
a tutt
i i cristiani. Chi arriva prima degli altri ad essere sensibilizzato al problema dell´handicap, troverà le modalità concrete per favorire questo clima di accoglienza, con opportune iniziative e sensibilizzazioni. C´è sempre bisogno che qualcuno incominci, perché altri comprendano che "è possibile", e si coinvolgano nella testimonianza della solidarietà e servizio.


- Rivolgere la dovuta attenzione alla famiglia del disabili


Essa non va lasciata sola col proprio problema. Ma va aiutata ad assumere un atteggiamento sereno nei confronti dell´handicap, soprattutto quando scopre che esiste solidarietà, quando vede disponibilità, quando trova possibilità di condivisione nell´affrontare i disagi relativi alla vita dei figli disabili. Se i problemi dell´educazione scolastica e sociale non possono essere risolti senza l´aiuto di insegnanti di sostegno e di strutture sociali adeguate, anche per l´inserimento nella vita parrocchiale c´è bisogno di tanti che si facciano carico concreto di questa corresponsabilità.


- Valorizzare i carismi delle persone in difficoltà


Tra loro sono comprese quelle con problemi di handicap. Si deve ripartire dagli ultimi, ricordando che la Chiesa è mistero di comunione. Per questo tipo di intervento concreto bisogna, prima di tutto, superare la mentalità dell´efficienza, sapendo che si deve chiedere a ciascuno quello di cui è capace. E´ necessario stimolare la creatività dei singoli; nella comunità si possono affidare tanti piccoli servizi anche a disabili, secondo le proprie possibilità. Questo compito aiuta a superare gli atteggiamenti diffusi di falsa compassione, incoraggiando e offrendo la possibilità di misurarsi con le proprie forze e aiutando a comprendere che si può essere utili, nonostante i limiti…


- Superare la mentalità assistenzialistica


Bisogna sostituire "l´agire per" con "l´agire con". Le azioni descritte precedentemente portano esattamente verso il superamento dell´atteggiamento di autosufficienza. Purtro
ppo ques
ta mentalità è ben radicata anche in tanti cristiani, in
tegrati nell´attuale cultura del profitto e dell´efficienza, che emargina chi non può adeguarsi. Questo atteggiamento assistenzialistico porta a far credere di stare a posto con la propria coscienza, solo perché di tanto in tanto si offrono beni e tempo. E´ necessario invece non partire dalla propria efficienza, ma dalla possibilità che altri devono poter esprimere il proprio valore.


- Offrire la possibilità ai disabili di accedere ai sacramenti


Le persone con handicap, come le altre, devono crescere nella fede. In questa prospettiva è necessario convertirsi dalla mentalità conseguente a una catechesi fondata solo sulle conoscenze della verità. Per le situazioni di handicap psichico grave, si può fare riferimento alla consapevolezza e alla fede della comunità. E´ chiaro che il problema non coinvolge solo il singolo catechista, ma tutti gli educatori, tutta la comunità con le sue istituzioni (Consiglio pastorale parrocchiale…); ed esige una programmazione che rispetti il cammino possibile di ciascuno. Ciò comporta favorire l´integrazione dei disabili dei gruppi di catechesi, superando ostacoli architettonici, adottando accorgimenti per la comunicazione, offrendo contenuti graduali.
Inserire le persone handicappate nei gruppi di catechesi non comporta l´adozione di forme didattiche specialistiche. Il gruppo è di per sé luogo e strumento di integrazione.