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Evangelizzare il mondo del lavoro in immigrazione


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 6/01


di Gianni ForneroDopo due seminari, celebrati nel 1998 e nel 2000, rispettivamente su "Evangelizzazione del mondo del lavoro in immigrazione" e "Vangelo, lavoro e migrazioni" il 22 ottobre 2001 a cura dellŽUfficio della pastorale Sociale e del Lavoro, della Migrantes e della Caritas Italiana, si è tenuto a Roma un terzo seminario che, in vista di dare operatività alle tante riflessioni e proposte maturate nei precedenti incontri, si è posto la domanda molto concreta: come costituire proprio nellŽambiente di lavoro piccoli gruppi che siano evangelicamente "sale, lievito, luce" del mondo del lavoro, ispirandosi alla Dottrina sociale della Chiesa?Riportiamo lŽintervento conclusivo di don Gianni Fornero, che può ritenersi una buona sintesi del Seminario.La nostra proposta è chiara: formare 20-30 gruppi di lavoratori immigrati sul tema lavoro-fede. Ma non è una idea paracadutata dal cielo o che nasce nel deserto. Essa si inserisce in un lungo cammino percorso dalla Chiesa italiana e sintetizzato dai due seminari precedenti cui ha fatto riferimento p. Bruno Mioli. Di più e meglio: è possibile formularla ora proprio perché Migrantes e Caritas hanno lavorato da anni con grande dedizione e generosità.LŽintervento ecclesiale a favore dei migranti, nella sua completezza, può essere immaginato come un grande arco che va dallŽaccoglienza, al servizio, allŽaccompagnamento verso il lavoro, al formarsi di comunità cristiane per lingua o per nazione, fino allŽinserimento nelle comunità locali. La nostra proposta si colloca allŽinterno di questo arco, al servizio di questo inserimento. Nelle grandi città, il primo approccio degli immigrati cristiani avviene generalmente attraverso le comunità etniche. I pregi evidenti di questa proposta consistono nel garantire una certa continuità, un primo contatto, un rapporto caldo. I rischi stanno nel pericolo di isolamento ma soprattutto nella pratica di una religiosità ancorata ad una situazione sociale radicalmente diversa (quasi sempre rurale, spesso basata sul modello della "cristianità").LŽobiettivo ultimo è chiaro a tutti: il pieno inserimento di questi fratelli nella comunità ecclesiale locale.La nostra proposta consiste nel proporre un obiettivo intermedio, nel darsi cioè gli strumenti perché questo passaggio avvenga bene, seguendo le linee maturate in questi anni nella Pastorale sociale e del lavoro nellŽambito dei "lavoratori dipendenti". Si tratta di accompagnare gli immigrati cristiani nellŽincontro con la nuova realtà del lavoro e della complessa problematica che incontrano, perché maturino una fede che si confronti con la storia e con la situazione della religiosità nel paese di accoglienza, una fede che alimenti nuove forme di impegno sociale. In pratica si tratta di sviluppare quanto è appena accennato nei sussidi che conoscete "Nella Chiesa nessuno è straniero" (pag. 62 e 129-131), nonché in "Vangelo, lavoro e migrazioni" (pag. 63).Gli immigrati vengono in Italia per lavorare e costituiscono la fascia più bassa della stratificazione sociale del lavoro (che è in buona parte lavoro dipendente). Fascia che crescerà sempre più a causa del calo della natalità e della scarsa propensione dei giovani italiani per il lavoro manuale.Il lavoro serve per guadagnarsi il sostentamento quotidiano ma il suo valore non si ferma certamente a questo livello. La Laborem Exercens, di cui ricorre proprio questŽanno il ventesimo anniversario, è la "magna charta" cattolica, una vera e propria Summa del magistero sociale della Chiesa sulla dignità del lavoro e sulle sue molteplici dimensioni. Poche settimane fa il Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, insieme con tre Università cattoliche del mondo, ha organizzato a Roma un convegno per approfondire il messaggio e lŽattualità del documento pontificio. è emerso come proprio lŽepoca della globalizzazione metta in risalto, quanto non mai, lŽimportanza del fattore lavoro nella vita della persona.Il lavoro ha anzitutto una dimensione umana fondamentale. Non è certo il lavoro che "fa" lŽuomo, come voleva lŽideologia, ma è un fatto che lŽuomo "si fa" anche attraverso al lavoro: il lavoro è un luogo decisivo della realizzazione di sé.Il lavoro ha una dimensione sociale evidente. Non solo perché attraverso il lavoro umano si configura lŽinsieme del tessuto sociale, ma anche e soprattutto perché il lavoro è luogo di socializzazione, di incontro con lŽaltro, del crearsi di tensioni e di solidarietà del tutto nuove e cangianti secondo le epoche. La Laborem exercens ricorda come fatto fondamentale la nascita del movimento sindacale. Il lavoro ha inoltre una dimensione "cristiana", nel senso che non è neutro o estraneo alla fede cristiana. Sia lŽAntico Testamento che il Nuovo Testamento si aprono con lŽicona di Dio che lavora (come scrive splendidamente F. Riva in La Bibbia e il lavoro, Esperienze, 1997). La teologia del lavoro ha messo lŽattività umana in relazione con la creazione, con la croce, e con lŽescatologia. La Gaudium et Spes ha assunto un lungo percorso di riflessione che è stato successivamente rielaborato in termini ancora più netti nella citata Enciclica, anche esplicitamente in termini di spiritualità del lavoro.Il lavoro ha infine una dimensione ecclesiale e noi della Pastorale Sociale e del Lavoro siamo testimoni diretti di quanto il lavoro operaio abbia sfidato la Chiesa, di come si sia sviluppata prima unŽestraneità profonda della classe operaia nei confronti della Chiesa e poi un movimento missionario intenso e contrastato che ha portato la Chiesa stessa a ripensare la sua presenza nel mondo e la sua opera di evangelizzazione.Proprio in ragione di questa densità del lavoro che ho appena tratteggiato, riteniamo che il lavoro debba essere messo esplicitamente a tema nel percorso formativo dei lavoratori cristiani e quindi anche degli immigrati.Perché fare gruppo? Semplicemente perché non ci sono altri strumenti adeguati. La lezione cattedratica è messa in discussione, è comunque del tutto inadeguata nel mondo del lavoro. Il gruppo è importante e decisivo perché:- è il luogo della socializzazione qualificata, dove si può realizzare il confronto, il dialogo, lŽamicizia;- è lŽambito in cui si può sviluppare una metodologia socratica della conoscenza, una ricerca della verità che coinvolge direttamente il soggetto;- è lo spazio per la interiorizzazione dei contenuti della fede, che possono venire assimilati attraverso un percorso di ricerca condivisa (e cioè di inculturazione vitale della fede).Il gruppo non è quindi solo una tattica metodologica, ma rientra in una prospettiva pedagogica precisa. Di più: il gruppo è frutto di una esplicita strategia volta ad un inserimento da protagonisti. Non di rado infatti succede che la fretta (o la "furia chiarificatrice") faccia dei brutti scherzi. LŽobiettivo è chiaro: inserire gli immigrati nelle comunità locali. Ma il rischio è che si tratti di un inserimento per assimilazione passiva, in cui lŽimmigrato non entra con le sue ricchezze e le sue specificità, ma come apprezzata manovalanza o al più come Žmacchietta folcloristicaŽ. Non bastano due balli o quattro canti in lingua straniera per realizzare lŽinculturazione. è indispensabile un lungo processo che porti gli immigrati a capire la società e la religiosità in cui sono inseriti e a riesprimere i loro valori e le loro ricchezze non nelle forme del buon selvaggio (che tanto commuovono i Žbuoni cattoliciŽ) ma in forme nuove e creative di solidarietà e umanizzazione. Attraverso il gruppo i lavoratori immigrati possono fare questo lungo percorso e prepararsi a entrare nella comunità cristiana da protagonisti, consapevoli delle sfide e capaci di affrontarle. Saltare questa tappa vuol dire spesso fare delle fughe in avanti, molto eleganti e prestigiose quanto pericolose e inefficaci.Il mondo del lavoro ci insegna il dovere del lavoro di squadra, il ritmo dei piccoli passi, lŽesigenza della comprensione graduale e comune.Per questi motivi abbiamo pensato questo Seminario, perché riteniamo importante e decisivo dare vita a gruppi di lavoratori immigrati che mettano a tema il rapporto fede/lavoro e possano maturare in modo significativo su questa frontiera decisiva dellŽevangelizzazione. Dalla loro eventuale riuscita potrebbe venire una ricaduta molto positiva sia per le nostre chiese che per la società civile.P. Bruno Mioli allŽinizio ha ricordato la cara figura di don Mario Operti, recentemente scomparso. Anche io, a mia volta, desidero terminare ricordando un uomo, un prete che ha dato la sua vita per questi temi che dibattiamo oggi e che gioirebbe molto nel vederci qui riuniti. Penso a don Luigi Di Liegro, maestro per molti di noi non solo nellŽaccoglienza degli stranieri ma anche nella pratica e nella valorizzazione del gruppo e della revisione di vita. Dalla testimonianza di questi preti che si spesero per i giovani lavoratori, per i poveri e per gli immigrati, viene a noi sia il conforto che un forte stimolo ad andare avanti.