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Un ricordo che è incoraggiamento


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/01


di Silvano RidolfiNella serie - non è esagerato dire gloriosa - dei sacerdoti di emigrazione della prima ora dopo lŽultima guerra mondiale un posto rilevante spetta a mons. Luigi Fraccari (24.01.09 Pazzon di Caprino/VR - 24.01.00 S. Ambrogio di Valpollicella/VR). Tra i "missionari della ricostruzione del tessuto pastorale" è, infatti, indubbiamente il primo nel tempo perché ha vissuto in Berlino la sconfitta della Germania con la conquista dei russi negli anni 1944-45 e si è poi fermato nella capitale tedesca fino a quando la salute non lo ha obbligato a rientrare nella sua natìa ed amata S. Ambrogio di Valpolicella (VR).Il cardinale di Berlino, Em. Georg Sterzinsky, ha scritto: "La Chiesa di Berlino ricorda con grande riconoscenza quella figura di prete carismatico che in modo inconfondibile ha contribuito perché la parola di Dio non restasse semplicemente parola o addirittura una teoria, bensì che divenisse "carne" nel nostro tempo, cioè acquistasse forma precisa, nella esperienza e concretezza per lŽuomo". Egli è stato per 35 anni un testimone di primo piano e resta una fonte di documentazione unica su Berlino e nellŽassistenza pastorale, prima agli internati e poi agli immigrati italiani.La serie dei missionari italiani di Berlino è quindi molto ridotta. Perché a mons. Fraccari succede don Giovanni Camozzi (Bergamo) che opera fino al 1979 (anche lui obbligato a rientrare per salute malferma). E poi i bresciani don Giuseppe Chiudinelli e don Gianni Paganini ai quali segue il condiocesano don Alfio Bordiga. Costui ha fraternamente voluto e generosamente organizzato una commemorazione di "don Luigi" nel primo anniversario della morte, chiamando i suoi parenti da S. Ambrogio, il parroco don Angelo Garonzi, gli amici e conoscenti, oltre alla intera comunità italiana in Berlino ed affidando lŽomelia di ricordo a mons. Silvano Ridolfi, già direttore dei missionari in Germania ai tempi di mons. Fraccari e suo amico da allora.La domenica 14 gennaio la Chiesa S. Maria Assunta in Charlottenburg dove si riunisce la missione era gremita di fedeli.Riportiamo qui alcuni stralci della omelia-ricordo di don Silvano Ridolfi.Ringrazio per lŽinvito rivoltomi dal vostro bravo parroco don Alfio e vi dico che ho accettato immediatamente e con gioia sia per lŽamico don Luigi Fraccari ad un anno dalla sua morte sia per una certa nostalgia del nostro comune lavoro pastorale e sia per questa città simbolo che è Berlino. E trovo con soddisfazione qui riuniti i parenti di don Luigi da Verona, il parroco suo di S. Ambrogio Valpolicella, don Angelo, accompagnato da Mauro che ha assistito redazionalmente don Luigi e il delegato per missionari italiani di Germania e Scandinavia, p. Parolin scalabriniano e tutti Voi di questa comunità italiana di Berlino. Vi ringrazio!Venni a Berlino per la prima volta con il primo volo aereo della mia vita da Francoforte a metà ottobre del 1955 per partecipare al Convegno annuale dei missionari italiani di Germania e Scandinavia (18-21 ottobre). Ero in Germania lŽultimo arrivato, a Francoforte da appena un mese, successore di mons. Aldo Casadei, il nostro direttore che passava da Francoforte a Colonia. La conta di quel drappello è presto fatta perché allora in tutta la Germania eravamo sette preti italiani. In ordine di presenza in Germania: mons. A. Casadei (Cesena) destinato a Colonia; don Afredo Prioni (Como) in Amburgo; don Ascanio Micheloni (Udine) a Saarbrücken; don Battista Mutti (Brescia) in Stoccarda; don Edoardo Borgialli (Torino) a Monaco ed io (oriundo di Cesena), indubbiamente il più giovane anche di età (neppure 27 anni) a Francoforte. Ed infine, ma non come ultimo, don Luigi Fraccari (Verona) certamente il più anziano, con una ininterrotta presenza in Germania, anzi a Berlino. CŽerano poi i Confratelli della Scandinavia: don Silvio Porisiensi (Udine) in Danimarca (Copehhagen), che prendeva il posto del gesuita p. Lanz pure presente allŽincontro e p. Giulio Masiero ofm conv. in Svezia (Stoccolma). Non pochi sono già deceduti. Questo piccolo gruppo del Nord Europa si riuniva per tre-quattro giorni a Berlino, ospite della MCI, di don Luigi e delle Suore, nella sede di Sophie-Charlottestrasse 31, Casa Pio XII. Ci raggiungeva da Roma lŽincaricato dei missionari italiani di emigrazione presso la S. Congregazione Concistoriale, mons. Emilio Rossi.Allora, e in questa cornice, conobbi don Luigi che ci accolse e ci sistemò nella camerata dei bambini dellŽasilo-orfanatrofio amorevolmente assistiti dalle Suore della Misericordia di Verona, i quali bimbi, essendo pochi in quei giorni, erano stati concentrati in altra stanza (ricordi di camerata: le lunghe chiacchierate e le molte risate; lŽinsonnia di p. Lanz che cambiò stanza; le freddure di don Prioni che mi chiamava "il bambino"). Che bel ricordo!Rimasi impressionato della onnipresenza di don Luigi e della generosa e cordiale accoglienza, sua e delle Suore (fino ai cioccolatini!). Fu il primo, positivo impatto da cui nacque lŽamicizia che ben presto si consolidò per il comune lavoro pastorale e per i molti rapporti personali. Tanto più che la Provvidenza mi condusse poi a divenire direttore dei missionari italiani in Germania, 1965, ed anche di Scandinavia, l968. Berlino ricadeva nella mia competenza di coordinamento e collegamento. Cominciai a venirvi periodicamente, sempre e solo in aereo (data la nota divisione della Germania in zone e di Berlino in settori tra le potenze alleate vincitrici della seconda guerra mondiale). Berlino era un emblema: lo si vide quando le truppe russe, fermatisi volutamente gli americani nella loro avanzata, entrarono nella capitale il 25 aprile 1945 ed issarono la bandiera russa sul Reichstag il 2 maggio. La resa senza condizioni seguì immediatamente lŽ8 maggio successivo. Da queste considerazioni nacque il mio sogno e la mia richiesta a don Luigi. Avrei voluto fare negli anni Ž70 un corto o lungometraggio partendo dalla entrata dei russi in Berlino e dalla resa delle truppe tedesche e coniugare poi lo sviluppo della nuova Germania occidentale, la RFT, con quello della rete di assistenza religioso-morale agli italiani in Germania. A cerchi concentrici. Ne avevo già individuato il valido regista, Bruno Jori (da Merano), che ne rimase entusiasta. Ma occorreva il finanziatore, che non venne fuori. Ripiegai allora sulla pubblicazione di una prevedibilmente interessantissima rievocazione di Berlino e degli italiani in Berlino, un "diario berlinese" sulla base di una agenda personale e piena di annotazioni di don Luigi. Ma lui sempre ha rinviato. E non se nŽè fatto nulla. E rimasto un sogno nel cassetto. Chi sa... se poi... o quando... e con chi...Questa commemorazione più che supplirla ne conferma lŽutilità (purtroppo con il passare del tempo non più puntuale come allora).Don Luigi non è stato mai chiuso, tanto meno musone. TuttŽaltro! Scriveva molto, parlava volentieri, si faceva ascoltare per la passione ed i fatti precisi e personali che raccontava (anche se negli ultimi tempi era piuttosto ripetitivo). Lo testimoniano i 24 colli di materiale (documentazione e corrispondenza) pervenuti alla Migrantes in Roma e ancora da catalogare e studiare.Ed è lui stesso che racconta più volte come gli venne lŽidea, anzi la spinta interiore ed insopprimibile, di partire per la Germania, a Berlino, dove era stato già nel Ž34 (a 25 anni!) per un limitato periodo come coadiutore nella assistenza ai nostri italiani. Ma nel Ž44 la situazione politica, sociale e morale, ed anche religiosa, era radicalmente precipitata, profondamente diversa e molto pesante: la Germania oramai chiaramente perdente, la paura dominante, lŽincertezza un incubo.E qui sta il suo grande merito, che ritengo fondamentale ed iniziale, qui il suo coraggio: quello di aver creduto che tutto non poteva e non doveva andare distrutto, che molto cŽera da salvare in vite umane, in esperienza e conoscenze, che la speranza di un domani migliore andava coltivata (ricordo la melanconica, struggente canzone del carnevale di Mainz, nel dopoguerra "Heile, Heile Gaenzschen!"). è don Luigi stesso a raccontare:"Quando sono andato dal vescovo di Verona, Mons. Girolamo Cardinale ho detto: "Eccellenza, sento una vocazione interna di seguire quei poveri disgraziati perché loro, essendo internati, traditori secondo loro, così detti badoliani, non hanno protezione da nessuna nazione, nemmeno dallŽItalia, dalla Croce Rossa, dal Vaticano: niente! Saranno abbandonati a se stessi, a lavorare, a produrre e poi a languire e morire". Il vescovo mi ha guardato e... mi son preso del matto, anche dai miei compagni preti, suore: "Sei matto, cosa credi di andare a fare, cosa credi che ti permettano? Sono loro i traditori e ti prenderanno…". Io ho continuato. Dissi solo questo al vescovo e il vescovo è stato persuaso: "Eccellenza, desidero essere per loro il buon samaritano, perché loro sono caduti nelle mani dei ladroni". Il vescovo allora mŽha detto: "Sì! Se i tedeschi ti daranno il permesso partirai con la mia benedizione". "Eccellenza grazie!"".Con tale determinazione don Luigi si tuffa interamente nel servizio di assistenza religioso-morale degli italiani in Berlino (il SAI, Servizio Assistenza Internati, affidatogli subito dal ministro Vaccari).Sono anni di tragica emergenza (il romanzo storico di Zangrande "La tradotta del Brennero" lo descrive bene):- prima gli italiani marcati dai tedeschi come traditori dopo lŽ8 settembre ("badoliani") con tutte le conseguenze pesanti che questo ha comportato (internamento, maltrattamenti…);- poi i tedeschi ancora disperatamente illusi di far fronte alla invasione alleata e ben presto invece definitivamente sconfitti (quanti suicidi per impiccagione nei boschi berlinesi!);- e quindi i vincitori vogliosi di rifarsi e di far pagare oltraggi e perdite subite nel desiderio spesso di vendetta con violenze su violenze (credo che nessuna donna sia stata risparmiata, per disprezzo!);- infine il popolo tedesco, umiliato e sfinito, che non esisteva più: giuridicamente senza personalità, interamente sotto la morsa dei vincitori (che ricordavano bene la fine della prima guerra mondiale e la nascita e il riarmo della Germania con il nazionalsocialismo e temevano).Don Luigi si interessa, come detto, degli internati e particolarmente dei sacerdoti associati alla stessa sorte dei soldati che avevano assistito: ce nŽerano ben 250. Non avevano da mangiare, soffrivano di dissenteria, non potevano celebrare Messa.Sostenuto dal Nunzio Apostolico Mons. Cesare Orsenigo, e forte dellŽincarico ricevuto dal consigliere Bucholz (Consiglio Affari Ecclesiastici), munito anche di una autorizzazione della Curia di Berlino, si mette alla instancabile ricerca di cibo, medicinali, del necessario per celebrare lŽEucaristia, in Italia, in Svizzera, in Vaticano. E comprensibile quindi che la sua visita fosse attesa e salutata come quella di un angelo custode da questa povera umanità.CŽera poi il problema di una dignitosa sepoltura dei tanti morti italiani, più militari che civili. E prima ancora il loro diritto di avere un nome e la pietà umana e cristiana del riferimento ai propri familiari in Italia. E infine il meritato onore con una degna sepoltura dopo il loro tragico, inutile destino.Siamo nel 1946. Soltanto in seguito verrà, con sede in Francoforte/Meno, lŽufficiale "Comitato per la ricerca e onoranza dei caduti in guerra" in Germania, guidato dal gen. Giuseppe Denari e con un cappellano militare al seguito. E ci furono frizioni tra Francoforte e Berlino.Berlino, la grande capitale, è sempre stata mèta di emigrazione italiana (lo si può leggere in una relazione di don Luigi, inserita nel fascicolo commemorativo, pubblicato in SM n. 9-10, 1980).Ne risultano nati in Berlino nel 1865. E data al 1891 la cattedrale cattolica, St. Hedwig, la prima dopo la Riforma Protestante. Nello stesso anno (8 dicembre) viene benedetta una cappella dedicata a S. Giuseppe nel Convento delle Carmelitane Scalze alla Pappelallee 61.Qui venivano gli italiani fortemente presenti nella zona, denominata quindi "quartiere italiano".Si trattava di operai, di modesti artigiani, di piccoli commercianti, di gelatai e "figurinai" della Versilia e particolarmente da Lucca.Il primo sacerdote italiano inviato appositamente per la cura dŽanime a Berlino è il rev. Don Costa, un "bonomelliano", cui succede don Luera nel 1915. Ma la prima guerra mondiale bloccò tutto. Interviene allora un prete tedesco che aveva studiato a Roma, il rev. dr. Carlo Sonnenschein, a prendersi cura degli italiani. Celebrava presso le Suore Carmelitane alla Pappelallee 61 ed anche presso le Suore Vincenziane in Pfalzburgerstr. 18, coadiuvato dalla Schw. Johanna, detta "la madre degli italiani". Nel 1921 viene addirittura il Direttore dellŽOpera Bonomelli, don Mozzicarelli, da Rocca di Papa (Roma), che resta in Berlino fino al 1923.Fu poi un susseguirsi di sacerdoti italiani e tedeschi, sempre sostenuti dal buon Dr. Carlo Sonnenschein, che muore nel 1928. Gli succede mons. Cento della Nunziatura Apostolica.E quindi il rev. Bandini (fino al Ž33),cui succede nel Ž34 il rev. prof. Gottfried Brunner, con cui fu anche don Luigi, e poi il padre Spellucci, salvatoriano originario della Slesia ed il rev. P. Nambrini e fino al 1939 padre Massimino Ghetta ofm (Convento di Berlin-Pankow), cui segue, proveniente da Parigi, il salesiano prof. Don Martino Cristofori, il quale era ufficialmente "cappellano dellŽAmbasciata dŽItalia" e della "Collettività italiana di Berlino". Morì nel 1945 nellŽospedale St. Hedwig in seguito a ferita da scheggia per bombardamento, assistito da don Luigi, che ne assume i compiti il 25 settembre 1945.Ormai, dato il precipitare degli eventi, non cŽera più traccia del già potente "Ispettorato dei Cappellani per gli Operai Italiani in Germania" alle dipendenze dellŽOrdinariato Militare Italiano e nemmeno della "Cappellania dellŽAmbasciata e Collettività Italiana in Berlino".Ma quanti erano questi italiani? Durante il Terzo Reich 650 mila, di cui 38 mila in Berlino. Ma nellŽagosto 1947 il loro numero si era ridotto a 1.550 unità (323 famiglie). I bambini erano 226 ( di cui 130 cattolici, 57 evangelici, 39 senza religione). E nel 1945-46 erano ancora meno.Tutti cercavano di fuggire da questo inferno e da tanta miseria; ma non tutti lo potevano.E così don Luigi, rimasto praticamente solo (il "treno diplomatico italiano" con gli ultimi responsabili della collettività è partito il 9 febbraio Ž45, ma don Luigi non vi è voluto salire; una settimana dopo è partita anche la Delegazione della Croce Rossa) raccoglie lŽeredità dura ed amara dellŽassistenza agli italiani, avendo punti di riferimento e di incontro le chiese di St. Afra e St. Joseph. Lo confortano il sostegno della Chiesa cattolica tedesca, essa pure ferita e decimata e geograficamente divisa, e della S. Congregazione Concistoriale in Roma, che nel giugno del 1947 a firma del card. Rossi lo autorizzava "a rimanere in Berlino per lŽassistenza spirituale degli italiani ammalati… fino a quando la sua attività potrà essere utile agli ordini della medesima missione". Don Luigi aveva anche ereditato il servizio della Croce Rossa, usando di questa copertura per azioni umanitarie ed assistenziali, anche spericolate (come rinnovo e prolungamento di passaporti).Occorreva però una sede con possibilità di accoglienza. Lui stesso racconta (cfr. SM 9-10/80) come gli venne lŽispirazione dello sviluppo e consolidamento della sua azione…"Camminando tra le macerie in cerca dei miei connazionali più miserabili e disperati... il 4 ottobre 1946 ebbi la prima ispirazione dal Signore e sentii dentro di me il desiderio vivo di fondare al più presto una "Casa-Rifugio" per italiani: bambini orfani e anziani senza famiglia e senza alcuna possibilità di rimpatrio. Ma con quali mezzi?".Interviene allora la Provvidenza da Lui invocata e stimolata. Ed ai massimi livelli ecclesiali. Il 2 novembre 1948, su presentazione dellŽallora Sostituto Mons. G.B. Montini, ottiene una udienza dal S. Padre Pio XII, che ascolta, approva, benedice e finanzia un progetto per bambini e vecchi in Berlino. Nasce la "Casa Pio XII" in Berlin-Zehlendorf (1950), cui seguirà (1955) la attigua "Casa Papa Giovanni XXIII" (non riuscirà invece il progetto di acquistare la vicina casa del pastore protestante, che sarebbe divenuta "Casa Paolo VI").Nel maggio 1950 avevano già raggiunto Berlino per la Casa Pio XII le prime quattro Suore della Misericordia di Verona, fondate dal sacerdote tedesco Beato Karl Steeb.Ed è dello stesso anno il rescritto della S. Congregazione Concistoriale con il quale don Luigi veniva inserito nellŽappena avviato riassetto della assistenza pastorale italiana in Germania su segnalazione di mons. Aldo Casadei che in quellŽanno si sistemava in Francoforte inviatovi da Roma con il compito di organizzare lŽassistenza necessaria e possibile degli italiani ( allora la Nunziatura Apostolica era a Kronberg sul Taunus, presso Francoforte).Più tardi (1964) verrà aperto anche un Centro Italiano nella Pfzalburgestrasse, Centro che volle dedicato per riconoscenza al già Nunzio Apostolico mons. C. Orsenigo.Siamo arrivati per così dire alla cronaca perché basta sfogliare il mensile La Squilla (fondato nel 1950) divenuto poi (1962) il settimanale Corriere dŽItalia (che ho avuto lŽonore di fondare e dirigere per tanti anni) per ricostruire in buona parte la storia della presenza degli italiani in questa grande e bella Berlino e della assistenza pastorale loro prodigata.Vorrei in questa sede sottolineare una iniziativa di formazione per i sacerdoti italiani operanti in Germania (7 nel 1955,come già detto, ma quasi 100 nel 1965 e 110 nel 1971 quando lasciai la Germania): i "Berliner Seminare".Con lŽaiuto delle Autorità Federali Tedesche e sotto la guida del competente Goethe Institut iniziammo corsi di lingua e cultura tedesca per avviare i sacerdoti alla comprensione della lingua e mentalità tedesca.Il primo Seminario ebbe luogo a Stauffen presso Friburgo nel Baden. Ma poi ci trasferimmo a Berlino (1969-70-71), ospiti della Missione e frequentando il Goethe Institut berlinese.Un grande servizio, una esperienza di fraternità!Una caratteristica infatti di don Luigi, come accennato, è stata sempre la generosa ospitalità. Negli anni bui della disfatta tedesca e in quelli fervorosi della ricostruzione Egli ha sempre, prima da solo e poi con le Suore, avuto la porta aperta per i bisognosi: i singoli italiani, i figli dei residenti nella zona russa, gli orfani italiani e tedeschi, i sacerdoti.Credo si possa applicare a Lui quanto leggiamo spesso nel breviario: "In semplicità e gioia, ecco Signore, che ti offro tutti i tuoi doni". Don Luigi ha infatti messo a disposizione degli altri le grandi capacità umane e le risorse spirituali che il Signore gli aveva donato e che lui aveva coltivato con la formazione in Seminario, nella esperienza pastorale di cappellano a Porto Legnago prima ed a S. Eufemia in Verona poi. Sapeva suonare, cantare; poetava e stornellava; ha composto anche inni (anche un "Inno dellŽemigrato"); aveva capacità organizzative. Il Signore gli ha donato tanto perché potesse a sua volta edificare gli altri. S. Paolo ci ricorda (e lo abbiamo letto in questa II domenica del tempo ordinario) che "ci sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di ministeri ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio che opera tutto in tutti" (1C 12,4-5). In questa luce dobbiamo vedere la vita e lŽattività di don Luigi, non altrimenti. Perché Egli è stato sempre, soprattutto e dovunque sacerdote di Cristo nella Chiesa di Dio.Aveva infatti una grande fede alimentata da una continua e regolare preghiera: non per nulla il riferimento, primo quasi sempre ed ultimo in ogni caso, era alle realtà superiori.Per questo Dio gli ha dato anche una grande resistenza al lavoro, una forte memoria (per nomi ed avvenimenti), una facile e convincente parola ed una buona salute, minata alla fine per il molto lavoro e le difficoltà esistenziali, specialmente gli occhi, per i quali alla fine si diceva quasi miracolato avendo quasi inaspettatamente recuperato buona parte della vista.A Berlino quando si parlava di italiani spuntava fuori sempre il suo nome, tanta e tale è stata la sua presenza ed azione. La stampa italiana se ne accorse. La rivista Oggi in un servizio del 1956 lo definì "il santo di Berlino".Innumerevoli anche le onorificenze e gli attestati di benemerenza ricevuti.E, come tutte le persone maturate in momenti duri e abbandonate per lungo tempo a se stesse, faceva anche fatica ad accettare persone e tempi decisamente mutati in una società in rapida evoluzione come quella tecnologica e massmediatica attuale. Nel Natale del 1968 annuncia la venuta di un giovane collaboratore, don Carmelo Giarrattana da Ragusa. Non resterà a lungo ed altri succederanno fino al bergamasco don Camozzi che ne raccoglie lŽeredità.Delle tante opere (case, Centro Italiano, associazioni) nulla resta. Nel 1978 viene firmata la cessione delle due case di Zehlendorf alla Curia Arcivescovile di Berlino per i Salesiani che sarebbero subentrati.Nel gennaio del Ž79, dopo 35 anni di ministero ininterrotto a Berlino, rientra in Italia e qui muore il 20 gennaio 2000 nel suo amato paese S. Ambrogio di Valpolicella cui sempre faceva riferimento e dove sempre ritornava volentieri e dove era stato assistito amorevolmente dalla sorella Leontina.Ma se nulla resta delle opere visive, tanto resta di Lui nel cuore delle persone che ha salvato dalla disperazione e spesso dalla morte; nella riconoscenza dei familiari dei Caduti in guerra cui ha restituito le salme dei loro Cari od almeno dato la pietà di una tomba; nellŽanimo dei giovani incontrati ed ora sparsi in tutta la Germania ed in Europa ai quali ha dato un sicuro esempio ed un solido insegnamento; nella Chiesa di Dio che vive in Germania ed in Verona delle quali è stato fedele figlio e devoto sacerdote e per le quali è stato un instancabile evangelizzatore, nonché nel cuore di tanti amici, tra i quali mi ci metto pure io, che da Lui hanno avuto esempio di generosità e sostegno di fraternità.