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Il coordinatore nazionale della pastorale etnica una figura nuova nel solco della tradizione


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 2/01


di Bruno Mioli"Il coordinatore nazionale della pastorale per determinati gruppi etnici è una figura relativamente nuova; la sua istituzione è stata sollecitata dal moltiplicarsi delle comunità pastorali etniche; e di queste alcune sono molto recenti, con scarsa esperienza e consistenza. Ne risulta la necessità o almeno la convenienza di collegarle tra loro, di consolidarle, di favorirne la continuità, di avviare una prassi pastorale che garantisca una certa uniformità e la convergenza delle forze disponibili". Così viene presentato il coordinatore della pastorale "etnica" nella introduzione alla pubblicazione "Centri Pastorali per i cattolici stranieri in Italia", edita dalla Migrantes a conclusione dellŽAnno Giubilare 2000. In termini quasi identici se ne parla nella altrettanto recente pubblicazione "Nella Chiesa nessuno è straniero", una "guida pratica per lŽimmigrazione ad uso degli operatori socio-pastorali", elaborata da un gruppo di organismi della CEI: "La novità di questi ultimi anni, nella pastorale per gli immigrati, è lŽistituzione da parte della CEI dei coordinatori nazionali per le nazionalità o etnie che contano un consistente numero di cattolici sparsi nelle diverse diocesi, allo scopo di garantire la necessaria uniformità di indirizzo pastorale e un sostegno più efficace e continuativo alle piccole comunità che non possono contare al loro interno su un servizio pastorale adeguato" (p. 64).Non si tratta sempre di comunità di modeste dimensioni, perché alcune di esse, specie nelle grandi città, contano migliaia di fedeli, hanno una pregevole esperienza e organizzazione, godono di una solida consistenza anche giuridica, sotto forma di Parrocchie personali, di Missioni con cura dŽanime o di Cappellanie canonicamente istituite; altre però, e queste sono la maggioranza, sono piccole comunità, sono sorte spontaneamente per iniziativa di qualche sacerdote italiano o straniero, di qualche religiosa o laico, dotati di forte sensibilità apostolica, per cui non si sono rassegnati a vedere i cattolici loro connazionali lasciati a se stessi, tanto simili a un gregge disperso, spesso in balia di equivoci pastori o dei lupi rapaci di biblica memoria. Essi certamente non si sono messi allŽopera da liberi battitori, bensì alla luce del sole sotto lo stimolo o almeno in accordo col responsabile diocesano della pastorale migratoria; essi pertanto, pur non avendo un formale incarico dallŽautorità diocesana, non operano ai margini della Chiesa locale, ma in sintonia di spirito e di programmi. Tuttavia essi sono molto spesso occasionali e provvisori, talvolta anche improvvisati; non possono dedicare che ritagli di tempo a questo "hobby" pastorale e non fa meraviglia se alla indubbia buona volontà non sempre corrisponde una adeguata preparazione ed esperienza per guidare una comunità pastorale; si aggiunga che questi operatori in buona parte sono italiani, conoscono lingua, cultura e tradizioni del gruppo etnico solo per approssimazione. Essi perciò sono lontani dallŽoffrire, da soli, un servizio pastorale che risponda in modo soddisfacente alle esigenze e ai bisogni di chi appartiene ad un mondo tanto diverso dal nostro.Da questo quadro emerge lŽutilità, per non dire la necessità, di un sostegno esterno, quello appunto del coordinatore nazionale che di persona visita periodicamente, ma non occasionalmente, questi centri pastorali o vi manda qualche altro sacerdote loro connazionale, garantendo così che il servizio svolto dagli operatori pastorali che si trovano sul posto abbia la dovuta integrazione.è interessante leggere lŽatto di nomina di un coordinatore nazionale, quello per esempio per i cattolici vietnamiti. Ecco il testo: "Il fenomeno dei flussi migratori in Italia ha creato diversi problemi, tra i quali quelli della cura pastorale, dellŽaccoglienza e dellŽinserimento nella società italiana degli immigrati. Preso atto, in particolare, della presenza di numerosi piccoli gruppi di vietnamiti in diverse diocesi italiane, ritenuto opportuno che lŽattività degli operatori pastorali attraverso visite frequenti e iniziative sia organizzata e adeguatamente promossa e coordinata da un sacerdote della stessa lingua e cultura allo scopo di garantire continuità e sviluppo, avuto il consenso di S.E. il Vescovo di Treviso, nomino Coordinatore Pastorale per i gruppi vietnamiti di religione cattolica il sac. Agostino Nguyen Van Du, responsabile della Cappellania vietnamita costituita nella diocesi di Treviso. Gli E.mi Ordinari diocesani, nel cui territorio esistano comunità vietnamite, sono pregati di accoglierlo favorevolmente e di conferirgli, se lo ritengano opportuno, le facoltà necessarie per lŽesercizio del ministero". Segue la firma del Cardinale Camillo Ruini, Presidente della CEI. Questa nomina è redatta secondo un formulario che si ripete quasi alla lettera anche nel caso degli altri coordinatori, sempre a firma del Presidente della CEI. E già questo è significativo, come si sottolinea nella citata introduzione: "LŽimportanza del coordinatore risulta anche dal fatto che la sua nomina viene fatta dal Consiglio Episcopale Permanente della CEI su presentazione della Conferenza Episcopale del Paese di provenienza, sentito il parere della Migrantes" (p. 10). Non è detto però che questo servizio di coordinamento sia scoccato con lŽatto ufficiale di nomina; già esisteva di fatto, per talune comunità etniche, da diversi anni. Per tornare al caso di Don Agostino, è interessante ricordare che egli è entrato in Italia da diacono tra le migliaia di profughi vietnamiti, il celebre boat people fuggito da un Paese in preda alla devastante rivoluzione marxista. Il giovane diacono poco dopo fu consacrato sacerdote e cominciò a operare in diocesi di Treviso fra i suoi connazionali cattolici. E quando questi si sparsero in diverse regioni del Nord e del Centro Italia, egli ha continuato e continua tuttora a raggiungerli a scadenze periodiche di persona e attraverso il suo giornalino: don Agostino dunque ha svolto fin dallŽinizio del suo sacerdozio e della presenza vietnamita in Italia la funzione di coordinatore pastorale. Altrettanto si dica del Cappuccino ungherese, padre Angelus Kovach, ora molto avanti negli anni; egli racconta ancora volentieri e con un certo umorismo degli anni felici in cui era in grado di salire in motocicletta e da Roma raggiungere i piccoli gruppi di connazionali a Firenze, a Bologna e altrove. Portava con sé una attestazione rilasciata nel 1973 dallŽUCEI, lŽattuale Migrantes, che lo dichiarava "Cappellano-missionario degli ungheresi residenti a Roma, nonché nellŽItalia settentrionale, a norma della Istruzione De Pastorali Migratorum Cura", munito delle "le facoltà di celebrare, di confessare e di predicare… per tutta lŽItalia".Tuttavia vietnamiti e ungheresi erano piccoli gruppi, approdati in Italia prima che il flusso immigratorio si imponesse come grande fenomeno di massa, che ha fatto salire a centinaia di migliaia i cattolici di diversa etnia presenti tra noi. Questo è il caso dei filippini, degli indiani del Kerala, dei cingalesi dello Sri Lanka, gruppi che si è già provveduto di fornire di proprio coordinatore nazionale per la pastorale. Ma questo ora è anche il caso degli ucraini, dei romeni, degli albanesi, che si spera di dotare di un proprio coordinatore entro lŽanno corrente. AllŽorizzonte si profila poi lŽesigenza di provvedere in modo analogo per i latino-americani, per gli africani delle varie nazioni sub-sahariani e per i moldavi. Un caso a parte è costituito dai polacchi: infatti negli anni Ž30 in Polonia è stata fondata la Società di Cristo per gli emigrati polacchi e per lunga tradizione i Padri di questa Società che reggono la Chiesa nazionale polacca di S. Stanislao nella Capitale, in via delle Botteghe Oscure, svolgono un servizio pastorale non soltanto a Roma e nelle diocesi suburbicarie ma pure lontano, sia al Nord che al Sud. Pertanto anche questi Padri, pur senza formale nomina, svolgono un servizio di collegamento a livello nazionale.Nel 1970 usciva lŽIstruzione pontificia "De pastorali migratorum cura" in applicazione della Lettera Apostolica di Paolo VI "Pastoralis migratorum cura" dellŽanno precedente. Al n. 44 dellŽIstruzione si legge: "Nelle nazioni in cui sono numerosi i Cappellani o Missionari dei migranti della stessa lingua, è auspicabile che uno sia nominato Delegato per i Cappellani o Missionari". Questo documento usciva in anni in cui lŽemigrazione, specialmente italiana, era in fase di piena espansione e la Chiesa italiana si era mobilitata per inviare tra di loro centinaia di sacerdoti diocesani e religiosi. In quegli anni sia in Svizzera che in Germania i sacerdoti italiani al servizio dei nostri emigrati avevano superato il centinaio, ma anche in altre nazioni, come la Francia, il Belgio e lŽInghilterra erano presenti in numero consistente; una realtà pastorale tuttora in atto, anche se quantitativamente un poŽ ridimensionata. Non occorre citare dallŽIstruzione quali siano i compiti e i doveri di questi delegati, perché sono facilmente comprensibili. Ed è comprensibile anche una certa analogia che si può porre tra le due figure, quella del Coordinatore e del Delegato.In primo luogo però è il caso di sottolinearne la differenza. Il Delegato infatti ha a che fare con un elevato numero di sacerdoti, che hanno formale nomina canonica a Cappellani o Direttori delle Missioni con cura dŽanime, strutture molto simili alle parrocchie territoriali: una realtà che per numero di sacerdoti, di strutture e di fedeli è equiparabile di fatto a quella di una discreta diocesi e crea necessariamente fitti contatti con le Chiese sia di partenza che di arrivo dei migranti. In tale contesto è facile comprendere la convenienza e il ruolo del Delegato dei missionari. Al contrario il Coordinatore è in rapporto con un numero più ridotto di centri pastorali, solo in pochi casi questi godono di canonica istituzione, spesso il loro responsabile e animatore non è un presbitero, è dedicato alla cura pastorale del centro ordinariamente non a tempo pieno, ma ritagliando tempi ristretti e magari sottratti ad altre occupazioni assorbenti. Dunque si tratta di una figura notevolmente diversa.Tuttavia fra Coordinatore e Delegati possiamo anche trovare delle interessanti analogie. In primo luogo lŽuna e lŽaltra sono nominate dalla Conferenza Episcopale della Chiesa di arrivo, previa intesa e su presentazione delle Conferenze Episcopali della Chiesa di partenza. Inoltre, in negativo, il Delegato, come il Coordinatore "non gode di nessuna potestà di giurisdizione né territoriale né personale" (Istruzione, n. 45). Il positivo accomuna le due figure la loro fondamentale funzione di mettere in rapporto Chiesa di partenza e di arrivo, di favorire comunione, sintonia e collaborazione fra gli stessi operatori pastorali sparsi sul territorio e di garantire loro una presenza amichevole e fraterna particolarmente nei momenti difficili; in una parola: promuovere uno stile di vita e di azione che faccia delle migrazioni e dei migranti pietre vive nella edificazione dellŽunica Chiesa.Ad introduzione del primo incontro dei Coordinatori nazionali (14-15 aprile 2000) la Migrantes così ne illustrava lŽimportanza e il significato a tre livelli:"A livello ecclesiale: il coordinatore, in forza della sua funzione, ha nella Chiesa italiana una presenza capillare, si fa presente in tante Chiese locali; lo fa a nome della sua Chiesa di partenza e a nome della Chiesa che è in Italia; è segno ed esercizio di una fraternità che non viene solo enunciata, ma esercitata nella sua concretezza; fa un modesto lavoro, ma di alto significato ecclesiale. A titolo maggiore dei cappellani etnici i coordinatori sono, come dice il documento pontificio "Chiesa e mobilità umana", uomini-ponte tra due Chiese sorelle.A livello pastorale: il coordinamento può diventare anche sostegno dei piccoli gruppi che stentano ad avere vita autonoma, può inoltre suscitare il sorgere di nuovi gruppi, particolarmente se il coordinatore bada alla formazione di qualche individuo o di qualche équipe che sia capace di animare il gruppo dal di dentro; egli infine, specialmente se risiede a Roma, ha la possibilità di organizzare la collaborazione di altri operatori pastorali da inviare nella diaspora.A livello disciplinare: una certa armonizzazione dei programmi e degli stili di intervento danno più credibilità e fiducia agli operatori pastorali, maggiore facilità di inserimento di questa pastorale specifica nella pastorale ordinaria della diocesi e una garanzia che in questo campo della pastorale etnica non ci sia spazio per posizioni individualistiche e arbitrarie".