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Minaccia islamica e risposta pastorale


Fondazione Migrantes - Servizio Migranti 1/01


-di Piersandro VanzanNellŽattuale transizione epocale, ogni identità si riconfigura: da quella nazionale, nellŽorizzonte europeo, a quella etnico-culturale e religiosa, nellŽorizzonte del crescente fenomeno interculturale e multireligioso legato ai flussi migratori. Questi flussi, in particolare, hanno assunto dimensioni bibliche: sarebbero infatti circa 100 milioni le persone che vanno spostandosi da una parte allŽaltra del mondo, generalmente incalzati dalle guerre e/o dalla fame. Né questi infelici si dirigono verso territori spopolati e da dissodare, come avvenne per esempio con le migrazioni dallŽEuropa verso lŽAmerica, dopo le grandi scoperte geografiche. Gli imponenti flussi migratori odierni si dirigono prevalentemente verso le aree più ricche del mondo, già densamente popolate. Ciò spiega perché lŽemigrazione sia vissuta spesso dai Paesi ospitanti come una "invasione", che minaccerebbe lŽidentità nazionale, per cui alcuni vedono male gli stessi centri di accoglienza, mentre altri vorrebbero che gli "scafisti" fossero respinti con le armi. Questo clima di non accoglienza rende più amara le vicenda umana degli immigrati, tacciati indiscriminatamente di essere "clandestini" e "socialmente pericolosi".Certamente, i timori non sono privi di fondamento, anche perché il fenomeno migratorio è difficilmente controllabile e lŽincontro tra "diversi" crea sempre delicati problemi dŽintegrazione socioculturale, religiosa e politica. Ciò vale soprattutto per gli immigrati musulmani che, più degli altri gruppi, "fanno paura": sia per il numero - spesso artatamente gonfiato -, sia per il "fondamentalismo" caratteristico del "risveglio islamico". Risultato: la crescente presenza dellŽislàm tra noi accentua lŽintrigante questione che spacca in due gli osservatori più attenti. Per alcuni saremmo di fronte a una lenta ma progressiva "islamizzazione" dellŽOccidente, mentre per altri si darebbe una inevitabile, per quanto contrastata, "modernizzazione" dellŽislàm stesso. Ipotesi che trovano fautori e avversari non solo tra gli occidentali ma anche tra i musulmani, dove i fondamentalisti pensano di islamizzare la modernità, ritenendo diabolica la civiltà occidentale, e i moderati o certe élites più occidentalizzate vorrebbero modernizzare lŽislàm. Tra questi ultimi spiccano gli europei convertiti allŽislàm - sociologicamente detti "i nuovi musulmani" -, la cui ibridazione socioculturale e religiosa favorirebbe appunto lŽoccidentalizzazione dellŽislàm (ma forse anche una islamizzazione più strisciante dellŽOccidente). Sinteticamente, i fondamentalisti vedono lŽOccidente e i suoi valori - democrazia, libertà di coscienza, emancipazione femminile, tecnologia, ecc. - come il diavolo, mentre gli altri ritengono possibile coniugare lŽanima religiosa profonda dellŽislàm - quella non strumentalizzata in chiave politica - col meglio dei valori occidentali, evidentemente "purificati" dagli eccessi tipo: libertà che diventa licenza, efficientismo imprenditoriale che diventa neocapitalismo (variante dellŽusura, secondo il Corano), i problemi di "genere" che alterano le relazioni tra i sessi (quali sono concepite dal Corano), e via numerando. A questo punto la domanda che sŽimpone, prima e oltre quella circa le ricadute del fenomeno sullŽidentità culturale e religiosa nazionale, è quella complessivamente pastorale: che non ignora la prima, ma la ingloba e trascende.Per affrontare correttamente la questione è necessario anzitutto prendere in esame la realtà. Di fatto, lŽislàm è oggi la seconda religione in Europa, e continua a diffondersi non soltanto in forza delle varie ondate migratorie e dei progressivi ricongiungimenti familiari - che favoriscono lŽalto tasso di natalità islamico (tre volte di più rispetto a quello europeo) -, ma anche del numero crescente di europei che, per motivi diversi - matrimoni, lavoro, delusioni politiche nostrane e seduzione del fondamentalismo islamico - si convertono e diventano "i nuovi musulmani" (cf. lŽomonimo libro di S.Allievi, Ed. Lavoro, Roma 1999). Ciò, tuttavia, non deve generare panico, che bloccherebbe in partenza ogni dialogo: merita invece riportare le cifre e poi notare che la realtà islamica è tuttŽaltro che monolitica. Prescindendo dallŽex URSS, dove sono circa 40 milioni, concentrati nelle Repubbliche asiatiche, gli islamici europei sono circa 15 milioni, su una popolazione di oltre 500 milioni: ossia neppure il 3,5% del totale. Inoltre, essi non formano una comunità omogenea in quanto, benché uniti dalla comune fede musulmana - peraltro articolata in sciti, sunniti, sufi, ecc. -, sono presenti razze, lingue, culture e storie nazionali molto diverse. Per esempio: dei 2,5 milioni presenti in Francia, quasi la metà provengono dalle ex colonie islamiche, oltre 600.000 dai Paesi nordafricani, 125.000 dalla Turchia e il resto dallŽAfrica nera o altro, mentre 40.000 sono i convertiti o nuovi musulmani francesi; in Germania, dei quasi 2 milioni di musulmani, oltre 1.500.000 sono turchi e il resto marocchini, tunisini, iraniani e giordani, mentre 5.000 sono i convertiti o nuovi musulmani tedeschi; in Italia, dei circa 500.000 musulmani presenti, circa 200.000 sono magrebini e poi, a scalare, 80.000 albanesi - molti dei quali solo virtualmente islamici, considerando la dittatura marxista che hanno vissuto -senegalesi, egiziani, iraniani, somali, pakistani e bengalesi. Cifre dalle quali si evince che, a differenza di altri Paesi europei, dove unŽarea etnico-culturale prevale sulle altre - i magrebini in Francia o i turchi in Germania -, qui da noi la situazione è a macchia di leopardo.Quindi, se lŽislàm non è affatto monolitico "in origine", ancor più frammentato diventa nel suo inserimento europeo. Risultato: lŽhomo islamicus è una pura astrazione. Infatti, al groviglio di storie e usi nazionali, di correnti teologiche e religiosità popolare, caratteristico degli immigrati musulmani, qui da noi bisogna sommare le varianti dellŽislàm autoctono, frutto di conversione religiosa (da varie Chiese o anche dallŽindifferenza religiosa: specie ex militanti comunisti). Se poi a tanta varietà aggiungiamo che le strutture organizzative islamiche qui da noi sono ancora fragili e tra loro poco collaborative, allora va ridimensionata la paura della "invasione musulmana" e va invece richiesta una nuova, più attenta pastorale: che non trascuri lŽincontro dialogico con questa "terza religione" del Libro - ricordiamo infatti che ebrei, cristiani e islamici nascono tutti sotto la tenda di Abramo -, anche per mostrare di fatto che, almeno nella Chiesa, si coglie lŽimportanza di tale abboccamento per costruire insieme un futuro migliore nei prossimi anni. Per non restare nel vago, due riflessioni sŽimpongono a una pastorale rinnovata.La prima riguarda "i nuovi musulmani" e loro famiglie dŽorigine: spesso religiosamente tiepide e di pratica asfittica. è questo lŽassillo della "nuova evangelizzazione": come rinsaldare le fondamenta cristiane della nostra gente, visto che senza questa "rifondazione" aumenta ogni giorno il numero degli ex cristiani o religiosamente "analfabeti di ritorno", terreno di caccia non solo per le altre religioni, ma anche per i nuovi movimenti religiosi, magici o esoterici, col sacro-pagano di ritorno (tipo il New Age)? è lŽazione preveniente verso quanti sono in crisi, domandandoci: quali sono i motivi di questa crisi? E perché trovano altrove quanto cercano? La seconda considerazione o pista riguarda il dialogo con i musulmani veri e propri, specie con i più fanatici, ai quali non riesce facile discernere il grano dalla zizzania nella cultura occidentale e ai quali pare che la stessa religione cristiana sia vittima della modernità edonistico-consumista. La sfida non è da poco, visto che in questo dialogo (confronto/scontro) fanno tuttŽuno argomenti politici, militari, economici, culturali e religiosi. Infatti, questi fautori del "risveglio islamico" affermano che lŽOccidente politicamente emargina i Paesi musulmani, come a suo tempo isolò quelli comunisti; militarmente rivolge attacchi violenti - guerre e altre misure coercitive - molto più contro le nazioni islamiche che non verso le altre; economicamente ha sostituito la precedente dominazione coloniale con la globalizzazione dei mercati e lŽabile utilizzo dei capi politici venduti alle multinazionali; culturalmente presenta come superiore e da imitare tutto quanto è occidentale - educazione, abbigliamento, musica, film, libertà che si fa permissivismo (relazione tra i sessi) ecc. -, mentre quanto è islamico sarebbe retrogrado, opprimente e incompatibile con la modernità; religiosamente infine - specialmente attraverso i media - presenta lŽislàm come una fede violenta, xenofoba, che rende la convivenza difficile per le altre religioni.è su questa frontiera della critica musulmana al secolarismo occidentale che fin dŽora, ma ancor più domani, i cristiani dovranno confrontarsi. Né il confronto sarà indolore, visto che non sono del tutto infondate le accuse dei musulmani ai cedimenti secolaristici di troppi cristiani: compromettendo lŽautenticità evangelica con elementi incompatibili, tratti appunto dalla cultura edonistico-consumista occidentale. Invece di essere coscienza critica rispetto ai guasti di tale cultura, le Chiese in genere e i cristiani in particolare avrebbero ceduto al compromesso: forsŽanche vantandosi di essere perciò stesso "moderni"! Cristiani in genere e azione pastorale in specie dovranno quindi stabilire con gli islamici un dialogo per intraprendere con loro un esame non puramente distruttivo, ma critico-positivo della società e cultura occidentale: per discernere sia gli innegabili valori, da salvare e promuovere ulteriormente - proprio alla luce dellŽautentica fede religiosa dŽentrambi -, sia per correggere gli altrettanto innegabili disvalori, procedendo insieme, viribus unitis. La dispersione o, peggio, la contrapposizione fanatica non porta da nessuna parte, mentre il dialogo e confronto, leale e sereno, aiuterà noi e loro a valorizzare meglio i semina Verbi e a contrastare le tossine dellŽanticristo. ( In questo articolo ho utilizzato anche quanto ho scritto in Civiltà Cattolica del 16 dicembre 2000, pp. 555-565, e quanto Th. Michel e M. Borrmans hanno pubblicato in Religiosi in Italia, n.1/2001, nella rubrica "Studi e Saggi", cui rinvio per gli approfondimenti).