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IL DRAMMA DEI CURDI E LE RESPONSABILITÀ DELL’EUROPA


Fondazione Migrantes - IL PUNTO


Sarebbe presuntuoso sentenziare con tanta sicurezza sull’intricato problema, che è dramma sconfinato (appunto senza confine) dei curdi e tanto più distribuire con equo dosaggio ragioni e torti. Ma pure punti fermi ce ne sono. Cerchiamo di elencarne qualcuno, su cui da più parti si persiste ad equivocare forse anche intenzionalmente.

1. Anzitutto l’equivoco fra immigrati “clandestini” e profughi o richiedenti asilo. Puntare il dito sull’Italia, “ventre molle dell’Europa”, perché in questi giorni lascia approdare su rottami di nave questi carichi di carne umana, non è proprio il caso. Si vada pure adagio a giurare che tutti, ad uno ad uno, questi fuggiaschi siano minacciati di morte e lascino alle spalle villaggi rasi al suolo; ma non si chiudano gli occhi di fronte alla più elementare evidenza che si chiama Saddam da una parte e Turchia dall’altra. Per l’uno e per l’altra - se non è sufficiente il fiume di notizie di giornali e TV - si veda il Rapporto Annuale 1997 o altri recenti specifici rapporti di Amnesty International sul rispetto dei diritti umani; molto da dire in proposito ha pure la Corte Europea dei Diritti Umani; per la Turchia poi è notizia eclatante di questi giorni la sua bocciatura ad entrare nella lista di attesa per l’UE, sempre a causa del mancato rispetto dei diritti umani.

2. Di conseguenza non si rinfreschi all’Italia la memoria solo degli Accordi di Schengen; a monte di questi accordi sta la Convenzione di Dublino sulla determinazione dello Stato competente per l’esame del diritto di asilo e ancora prima sta la Convenzione di Ginevra del 1951 sugli impegni dei Paesi civili circa i rifugiati. A tali impegni si è richiamata l’Italia in questi giorni natalizi in cui vediamo rinnovarsi la strage degli innocenti. Lo dimenticano al di là delle Alpi anche personalità altolocate, come un ministro degli Interni.

3. E finalmente, se l’Italia non fosse intervenuta con questa prima accoglienza quasi di salvataggio, quale alternativa avrebbe avuto se non il respingimento alla frontiera o addirittura in alto mare, col rischio di ripetere la tragedia del Venerdì santo nel Canale di Otranto o di lasciar imputridire uomini, donne e bambini per altri dieci giorni nel fetore asfissiante di una stiva?

Diamo atto alle autorità italiane e, in larga misura, anche all’opinione pubblica italiana, di aver tenuta alta la testa, senza complessi di inferiorità o soverchie paure di fronte a chi alza la voce più per calcoli elettorali che umanitari. L’Italia non ha fatto che richiamare impegni internazionali, fra i quali ritiene prioritari quelli che riguardano la sicurezza non delle frontiere ma delle persone.
Probabilmente è proprio questo fermo e dignitoso comportamento che ha dato credibilità alla concomitante proposta italiana di portare il cruciale problema su un tavolo europeo di concertazione, riservandovi un posto sia per la Turchia che per i rappresentanti del tormentato popolo curdo. Dopotutto, sull’attuale assetto di quell’area geografica che stringe come in una morsa di tirannide un popolo pieno di dignità, sacrificandone la libertà sull’altare dei tornaconti politici, l’Europa ha le sue responsabilità. E ancora maggiori ne ha davanti a sé per il prossimo futuro, qualora in questi mesi si limitasse a barattare l’entrata della Turchia nell’Unione Europea con un semplice impegno di maggiore controllo delle sue frontiere e dei suoi porti, onde contrastare l’esodo dei curdi dalle loro montagne.
Oggi, mercoledì 7 gennaio: è in corso a Bruxelles la riunione del Comitato esecutivo di Schengen e non sappiamo che orientamento prenda anche in vista dell’incontro di domani a Roma dei Capi della polizia di mezza Europa. Si auspica che si arrivi a posizioni concordi e magari anche a condividere il plauso che l’ONU ha già attribuito all’Italia.