Apprezzamento e riconoscenza per le scuole di formazione socio-politica, “espressione e fattore della coscienza ecclesiale”; richiamo a un loro ruolo di sostegno morale e spirituale, nell’attenzione a non dividere la comunità cristiana né a farsi strumentalizzare; appello a evitare gli scogli dell’antipolitica, come quelli della fuga: Mons. Crociata ha concluso sabato 3 marzo, a Roma, il Convegno Nazionale “Educare alla cittadinanza responsabile”, rilanciando “parole antiche per un nuovo alfabeto sociale”, che consenta di guardare oltre la crisi.
Anche a nome del Cardinale Presidente – la cui presenza è stata impossibilitata da un’influenza –
Mons. Crociata ha espresso, innanzitutto, “la gratitudine e l’apprezzamento della Chiesa per quanto le scuole di formazione socio-politica e iniziative analoghe stanno svolgendo”; ha, quindi, incoraggiato, sulla scorta del Convegno stesso, a continuare tale impegno, qualificandolo sempre meglio.
La caratteristica delle scuole – ha aggiunto – è quella di essere “espressione dell’inventiva pastorale formativa della Chiesa”, peculiarità decisiva, in quanto “in esse è la Chiesa che si esprime”.
Di qui la prima sfida che il Segretario Generale della CEI ha rilanciato: “Non c’è contraddizione tra il carattere istituzionale non accademico di queste scuole e l’alta qualità della loro proposta. Tenete alto il profilo dell’offerta formativa”.
Nel riprendere i contenuti dottrinali – innanzitutto i principi di solidarietà e di sussidiarietà – e quelli che derivano dalle scienze sociali e dalla conoscenza della realtà in cui si opera, ha invitato a non sottovalutare “ciò che precede” – ossia “la spiritualità, parte integrante” – e “ciò che segue”, ovvero “l’esperienza pratica di apprendistato sul campo”.
Il Segretario Generale ha quindi sottolineato “la circolarità tra formazione all’impegno politico, accompagnamento dell’azione sociale in tutte le sue forme e educazione al senso civico: si tratta di aspetti che devono essere distinti, ma non possono essere tenuti separati”. Di qui il ruolo delle scuole, “espressione e fattore della coscienza ecclesiale nell’ambito civile, sociale e politico”, servizio che “nasce dalla volontà della Chiesa di dare espressione alla responsabilità che la fede richiede in questi ambiti”.
In tale ottica ha richiamato il significato di quel “soggetto unitario diffuso” di cui in più occasioni ha parlato il Cardinale Presidente: “Il senso non è quello di un cripto-partito – ha spiegato Crociata – ma è espressione di una coscienza, di una volontà, di un impegno pastorale che rivela il volto socio-politico della Chiesa”.
Specie nell’attuale situazione l’esigenza di dar corso a questo lavoro – ha aggiunto – è avvertita sia dentro che fuori la Chiesa: “I Pastori ne prendono coscienza, lo avvertono, lo indicano; l’intera società l’attende e lo ricerca”, mentre “il mondo cattolico ha viva coscienza della sua responsabilità nei confronti del territorio e del Paese”.
La presenza diffusa di cattolici sul territorio – ha aggiunto – è già realtà che dice “la volontà di reagire sia alla tentazione di chiudersi nel privato e di scaricare su altri l’incombenza di prendersi cura della cosa pubblica, sia a quella di farsi prendere dalla sfiducia e dalla diffidenza. Dobbiamo evitare gli scogli dell’anti-politica come quelli della fuga dalla politica”: se pur “spinti da qualche fondato motivo, la scelta di chiudersi nel privato, nell’illusione che nel piccolo si possa vivere tranquilli, equivarrebbe aòl’illusione che una nave possa andare tranquilla nel suo viaggio, mentre tutti – a cominciare dal capitano – pensano solo a divertirsi”.
“C’è una richiesta – ha rimarcato – un bisogno oggettivo di partecipazione e noi cattolici abbiamo la tradizione e la cultura adeguate per rianimare il senso della solidarietà e del bene comune nel territorio e nel Paese”. E se “dottrina sociale della chiesa e movimento cattolico sono cresciuti insieme”, proprio “la prossima beatificazione del Toniolo è occasione per prendere coscienza di questi nessi e della responsabilità che ne scaturisce”.
Di qui l’impegno delle scuole – nei confronti della presenza dei cattolici sul territorio – ad attuare “un accompagnamento che fornisca il sostegno morale e spirituale necessario”. Si tratta di “un accompagnamento delicato, perché non deve dividere le comunità né renderle di parte o esporle a possibili e facili strumentalizzazioni”.
Lo sguardo dei Mons. Crociata si è sporto sul dopo crisi, quando “avremo bisogno soprattutto di sentirci di nuovo corresponsabili del destino di tutti e di ciascuno, una corresponsabilità che sarà dell’intero Paese se partirà dalle comunità locali e dal territorio. Non possiamo, infatti, pensare solo ai livelli apicali: dall’ambito locale si formerà un nuovo paradigma di solidarietà solo se si sarà capaci di guardare oltre. Noi cattolici abbiamo nel Dna questa circolarità tra locale e universale, la vocazione di viverla questa circolarità e di diffonderla”.
Perché le scuole possano assolvere il loro prezioso servizio e contribuire a una nuova stagione, mons. Crociata ha richiamato l’importanza di “fare rete e creare un collegamento che permetta la circolazione delle esperienze, il loro collegamento, la loro crescita”. Ne scaturisce, secondo il Segretario Generale, una duplice implicazione: “Innanzitutto, l’elaborazione di una proposta organica di scuola, che non escluda la varietà delle iniziative, ma che costituisca una sorta di modello ideale di riferimento, nella convinzione che la formazione richiede organicità, coerenza, articolazione disciplinare completa, metodo, temi di maturazione, percorsi di esperienza, dove il rapporto con la realtà locale è decisivo”; e, quindi, la necessità di il mantenere alto “il senso di fiducia nel lavoro che si sta facendo, nella sua fecondità: le persone non sono prodotti di serie; dai percorsi formativi realizzati dalle scuole siamo certi che nasceranno nuove vocazioni al bene comune, nuovi politici, nel locale e oltre”.
Mons. Crociata ha concluso citando un passo dell’ultima prolusione al Consiglio Episcopale Permanente di gennaio, dove il Card. Bagnasco “richiamava all’importanza di non perdere alcune parole antiche, che non sempre sono alla moda, ma che possono contribuire a un nuovo alfabeto sociale, un nuovo modo di pensare – adeguato, vivo per l’oggi – per parlare la lingua del sociale”. Queste parole antiche – “vita e famiglia, lavoro e partecipazione, libertà e relazione, politica e rappresentanza” – rilanciate dalle scuole, possono “ridare vita ad una lingua che non può rischiare di estinguersi: ne va della nostra vita e di quella delle generazioni future”.