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Home page - Un libro al mese - COLLABORAZIONE: LA CHIAVE DI VOLTA | Collaborazione: la chiave di volta
| Intervista al prof. Carlo Ratti*
a proposito del libro “Le radici delle Cattedrali” di Roland Bechmann
*Architetto e ingegnere, laureato al Politecnico di Torino e all'École National des Pontes et Chaussées a Parigi, master e PhD all'Università di Cambridge (Inghilterra), è titolare dello studio Carlo Ratti Associati di Torino e direttore del MIT Senseable City Lab di Boston. Titolare di numerosi brevetti e autore di oltre 250 pubblicazioni, collabora correntemente con molte riviste specializzate. Alcune sue opere sono esposte in prestigiosi musei quali il MOMA di New York, il MAXXI di Roma, il Design Museum di Barcellona. Diverse pubblicazioni, quali Forbes, Esquire, Wired lo hanno inserito tra i progettisti più influenti al mondo. Il suo Digital Water Pavillon installato a Zaragoza per Expo 2008 è stato segnalato da Time come “Best invention of the year”.
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Imparare dal Medio Evo, ma con quel che consentono le tecnologie attuali. Per ottenere un approccio autenticamente collaborativo all'opera. Con un architetto che non sia più “star” ma capace di coordinare con efficacia i contributi di molti.
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17/06/2016 ma lo sviluppo delle tecniche di costruzione sembra allontanare nei secoli successivi questo vincolo territoriale. È tale vincolo qualcosa che oggi ha senso riscoprire?
Credo che partire dal genius loci sia molto importante. Parafrasando Carlo Mollino, si potrebbe dire che per essere globali è necessario essere autenticamente locali. E oggi le reti ci offrono nuove possibilità per coniugare globale e locale. Con Antoine Picon, Alex Haw e Matthew Claudel abbiamo cercato di affrontare il problema in un articolo pubblicato su Architectural Review nel luglio 2013 ( http://www.architectural-review.com/view/the-power-of-networks-beyond-critical-regionalism/8651014.article). Dove, a fronte dell'omologazione della globalizzazione proponiamo di fondare un nuovo approccio teorico sulle "peculiarità di una rete particolare". Lo abbiamo chiamato “ Network Specifism”: l'opera vi emerge come frutto dell'interazione che si stabilisce tra coloro che collaborano grazie alla “rete”. E continua nel riportare il tutto coi piedi per terra: vi sono siti specializzati che favoriscono anche la realizzazione “artigianale” nel sito. Solo le persone sono capaci di definire il legame tra luogo e progetto. Quel che chiamiamo Network Specifism si fonda sulla possibilità delle reti di connettere le persone a livello, sia globale, sia locale. Forse è proprio questa opportunità a rendere nuovo il modo in cui si può lavorare sul territorio e per il territorio, con un approccio universale.
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17/06/2016
La tecnologia, gli strumenti, ci permettono sempre di innovare. Nel passaggio tra Romanico e Gotico c’è stata una strabiliante evoluzione tecnologica che si è riverberata nelle geometrie e nel modo di costruirle. Parlerei quindi di rivoluzione.
Proprio per questo, Gotico e Romanico hanno avuto destini diversi. Il primo venne abbandonato dopo il Concilio di Trento, quasi rinnegato – proprio per il suo carattere rivoluzionario a livello sociale. La Cattedrale gotica di Asti, completamente deturpata e camuffata nei sei secoli successivi alla costruzione, è un esempio di questo processo. Il Romanico invece ha avuto una sorte diversa – in molti casi è stato alterato ma preservato nella sostanza.
E poi non dimentichiamo il Neogotico, che ha copiato le forme del Gotico, ma non i processi. Quello del “Revival gotico” è stato un movimento su vasta scala – Eugene Viollet-le-Duc in Francia, Alfredo d'Andrare e Luca Beltrami in Italia – ma che tradiva l’idea di progettazione collettiva, pur preservandone gli esiti formali.
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17/06/2016
Come valuta il rapporto tra il cantiere medievale e quello attuale, e che influenze comportano sull'edificio le diverse pratiche costruttive?
Mi piace pensare al cantiere in un'accezione più ampia; un luogo in cui realizzare una progettazione collaborativa. Si tratta di un cantiere mediato, poiché non è necessaria la presenza fisica di tutti gli attori. È sufficiente il loro feedback, che arriva attraverso diverse modalità di indagine e raccolta dati – come le reti. È un “cantiere” che procede anche dopo che la costruzione è conclusa e contribuisce a strutturare meglio i cantieri successivi.
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17/06/2016
Allora come oggi i committenti sono fondamentali. Come diceva Frank Lloyd Wright, i tre aspetti più importanti dell’architettura sono: “clients, clients, clients”. L’idea stessa di committente però sta cambiando.
Oggi vi sono “Architetti senza clienti”, come abbiamo discusso al World Economic Forum di Davos, a partire dal progetto del Luchtsingel: un ponte pedonale che collegherà il distretto Hofplein alla parte nord di Rotterdam, permettendo a chi cammina di evitare una strada trafficata. La sua peculiarità? È un progetto senza un vero e proprio committente, ma finanziato dai cittadini col crowdfunding – donazioni individuali. Un esempio semplice e concreto di architettura partecipata.
Il rapporto tra architetti e committenti è sempre stato controverso. Negli anni '40 Luis Barragan, dopo un inizio di carriera fatto di compromessi e architetture spesso banali, dichiarò: “Ne ho fin sopra I capelli dei committenti, che vadano alla malora. D'ora in poi lavorerò per un solo cliente: me stesso”. E, libero dai vincoli delle commissioni, vinse il premio Pritzker ed entrò nella storia dell'architettura del ventesimo secolo.
Oggi le piattaforme di crowdfounding possono dare agli architetti nuove opportunità per partire da un’idea e raccogliervi attorno una comunità interessata. Forse un approccio di questo tipo è impraticabile per le chiese, per le quali tuttavia il crowdfunding e una maggiore partecipazione delle comunità mi sembrano più che auspicabili. Non solo: qualcosa che tornerebbe ad avvicinare il modo in cui si costruiscono le chiese oggi al modo in cui si costruivano nel Medio Evo, quando la partecipazione popolare era molto attiva a tutti i livelli.
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17/06/2016
Ci serve una figura capace di lavorare in modo collaborativo, armonizzando le diverse voci, dando inizio, ordine e fine al processo. Una sorta di capomastro. O un architetto “corale”, un curatore intelligente più che un genio creativo solitario: è quel che proviamo a suggerire nel nostro libro “Architettura Open Source” (Torino, 2013).
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