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 Home page - Un libro al mese - CONCORSI CEI, MODELLO PER LA QUALITÀ DIFFUSA 
Concorsi CEI, modello per la qualità diffusa

 

Intervista all'Arch. Margherita Guccione*
a proposito del libro “21 per XXI. Nuove chiese italiane” di Giuseppe Russo e Laura Fagioli (a cura di - Milano 2013)
  
* Margherita Guccione, architetto, è il direttore del Museo di architettura moderna e contemporanea del MAXXI (MAXXI Architettura). Dal 2000 ha seguito per il Ministero per i beni culturali la progettazione e la realizzazione della sede del MAXXI, su progetto di Zaha Hadid e  ha elaborato il programma culturale del Museo di architettura. Ha curato molte esposizioni e iniziative, tra le quali quella dedicata alle  nuove chiese italiane dal titolo 21 per XXI (2013). Tra i suoi libri: Zaha Hadid (Roma, 2004), Come sarà il museo del futuro? (Roma, 2013), MAXXI Architettura, catalogo delle collezioni (2015).
 


Gli argomenti trattati nella rubrica “Un libro al mese” sono ridiscussi in interviste con diversi esperti. Ne nasce un colloquio volto ad approfondire gli argomenti esposti nei volumi. Le opinioni presentate sono qualificate ma personali, non necessariamente condivise da chi promuove la rubrica.
Oggi più che mai è diffusa la consapevolezza dell’importanza del confronto per individuare la soluzione più efficace e rispondente ai bisogni espressi da una comunità.  Il sistema dei concorsi organizzati su più livelli, come quelli promossi dalla CEI, prevedendo la partecipazione di tutte le parti coinvolte, dal committente ai chi lavora al progetto fino  alla collettività che dell'architettura fruisce, è quello che dovrà essere preso a modello per le grandi opere architettoniche, che hanno maggiore impatto sul paesaggio urbano. La Chiesa italiana in questo ha svolto un ruolo profetico, con una sperimentazione condotta negli anni per promuovere i concorsi a livello diocesano.
 
22/03/2016

Nella storia dell'architettura la chiesa (o più in generale il tempio) è sempre stato luogo di primaria importanza. Sino a questi decenni recenti, almeno. Come valuta la qualità e l'importanza dei progetti presentati al MAXXI, sullo sfondo della produzione architettonica attuale?
 
Ritengo di particolare valore il fatto che la Chiesa italiana abbia scelto di attivare un sistema di committenze fondate su concorsi, organizzati secondo una modalità articolata e attenta. Per questo è stato per me un piacere ospitare al MAXXI l'esposizione dei progetti presentati alla sesta edizione dei concorsi titolata  “21per XXI”. Il sistema concorsuale stabilito dalla Conferenza Episcopale Italiana guarda al valore qualitativo delle opere e allo stesso tempo favorisce la vicinanza con la comunità cui queste sono destinate. Infatti v'è una commissione tecnica competente che cura la fase istruttoria e una  commissione che esprime e verifica le esigenze  della collettività cui le opere sono destinate.
 
I concorsi CEI hanno preso avvio in un periodo in cui il tema dominante del pensiero architettonico era l’autorialità  delle architetture, sulla base dell’idea che l'opera riesce a essere “comunicativa”, oltre alla propria finalità, grazie anche alla “firma” di chi l'ha pensata. In questo scenario culturale  i concorsi CEI hanno guardato in modo eloquente ad altri valori, come per esempio, il genius loci cristiano, pur muovendosi nel quadro delle diverse  tendenze che innervano l'architettura contemporanea.
Nella sesta  tornata dei Progetti Pilota i tre vincitori sono stati i gruppi coordinati da Benedetta Tagliabue per la diocesi di Ferrara-Comacchio, da Francesca Leto per la diocesi di Tempio-Ampurias e da Mario Cucinella per la diocesi di Cassano all'Jonio.
La prima, la soluzione dello studio Tagliabue, ha elaborato un progetto guardando soprattutto al contesto ferrarese e ai suoi spazi pubblici, ripresi fino alla texture dei materiali prescelti.
La seconda, la soluzione dello studio Leto, si è basata  su una figurazione ben radicata nella tradizione dell’edilizia sacra (il tetto a capanna) rinnovata  nella trascrizione  operata dal progetto contemporaneo.
La terza, la soluzione dello studio Cucinella, ha utilizzato  un'iconografia ben chiara nella definizione dell’immagine architettonica della chiesa: quella della croce, presente all’esterno nel taglio verticale che segna l'ingresso, e quindi riproposta nell’organizzazione planimetrica.
 
Tutti progetti originali, calati nella contemporaneità e al tempo stesso capaci di dialogare con la tradizione. E questo grazie al sistema concorsuale da cui sono originati, che è espressione di un attento studio della realtà sociale, culturale, tecnologica. Questa esperienza  dimostra come i linguaggi contemporanei possono andare assieme con la tradizione e come una condivisione allargata arricchisca il progetto.
Ritengo che  il sistema concorsuale attuato dalla CEI sia  un’iniziativa utile per riflettere sul quadro normativo italiano riguardante le opere pubbliche nella direzione di un consapevole bilanciamento dei ruoli, dal committente agli esperti tecnici.
In questo momento è interessante notare il cambiamento culturale in atto nella direzione di una maggiore consapevolezza della responsabilità dell’architettura. Accantonate le “archistar”, si guarda al paesaggio architettonico con più attenzione alla qualità, alla sostenibilità, al rifiuto degli sprechi e del consumo di suolo, a favore di soluzioni qualitative diffuse e condivise. Lo stesso impegno dimostrato da Renzo Piano sul terreno della “ricucitura” delle periferie, dimostra l’importanza  della partecipazione della collettività alle scelte sulla qualità urbana che oggi sono ineludibili.


 
07/04/2016
 
La  chiesa e  il museo sono strutture urbane che esprimono il vivere collettivo. È vero che le riviste di architettura hanno dedicato più spazio ai musei che alle chiese. Il museo è stato interpretato come uno straordinario dispositivo di comunicazione e di successo e alcuni musei contemporanei sono diventati luoghi simbolo. Ma oggi vi è un ripensamento, sembra che l'architettura debba fare un passo indietro: nel caso dei musei per esempio non si guarda più tanto agli edifici come espressione unica di valore artistico e architettonico, tanto forte da rischiare di soverchiare il contenuto. Si guarda a spazi espositivi  capaci di far godere al pubblico contenuti significativi ed esperienze formative. E mi sembra che sia importante progettare chiese che permettano di officiare al meglio i riti. Naturalmente l'aspetto dell’esperienza architettonica è rilevante, sia nelle chiese, sia nei musei. Come è fondamentale il rapporto con il contesto, ancora oggi va rilevato il ruolo urbano della chiesa, fondante quale luogo di incontro della comunità e tra la comunità e la città.
 
07/04/2016

Purtroppo anche i musei a volte sono meno frequentati. Al punto che c'è chi si chiede se non possa finire la loro epoca. Del resto, sino al '700 l'umanità è vissuta praticamente senza musei... ma non senza chiese.




 
07/04/2016
 
Certo le opere pittoriche, i reperti archeologici o le sculture possono essere osservate perché presentate  nelle esposizioni direttamente. Le architetture invece vivono in esterno nelle città, non possono, come opere, essere esposte in uno spazio espositivo. È un vero e proprio paradosso perché quando in un museo si presentano le architetture occorre ricorrere a mediazioni: si può raccontare il processo progettuale precedente all'edificazione e quanto avviene dopo che questa è compiuta. Per far ciò si ricorre a fotografie, a modelli e disegni, a filmati e a ogni genere di  testimonianze. E si possono presentare  anche le architetture che avrebbero potuto essere e non sono state, o quelle che nascono nel mondo delle idee: le utopie, i sogni. Così il museo svolge un'opera introduttiva e dialogica, consente ragionamenti sulle cause e sui fini. In questo modo prepara all'esperienza dell'architettura e contribuisce a educare alla critica della stessa.
La museografia inoltre aiuta a entrare nella logica insita nelle soluzioni architettoniche. Per esempio quando al MAXXI abbiamo presentato l'opera di Luigi Moretti, abbiamo organizzato i percorsi secondo ampi andamenti curvilinei che riprendevano la sua specifica cifra progettuale. È questo uno dei modi cui ricorriamo per coinvolgere  il visitatore in una dimensione esperienziale che simula quella degli edifici veri e propri.
 
07/04/2016

o di chi dell'architettura fruiscealle commissioni preposte alla scelta dei progetti?
 
Al riguardo trovo sia molto utile il ricorrere ai modelli tridimensionali. Per quanto in scala, essi consentono a chiunque, con maggiore facilità, di osservare e pensare lo spazio costruito.
Inoltre nel caso dei concorsi della CEI, il fatto che si mettono in campo due commissioni, una di carattere professionale e tecnico, e un'altra collegata alla committenza e alla comunità, contribuisce ad attivare un dialogo in cui le necessità dell'una parte sono confrontate con le ragioni  dall'altra parte, in un dialogo mutuamente fecondo.
 
07/04/2016

L'architettura è sempre frutto di un'interazione e solo quando  deriva da un intenso dialogo tra diversi soggetti si ha una garanzia di qualità. Per quanto mi concerne sono convinta che perché l'architettura funzioni occorre il concorso di quattro diverse figure: il committente, il progettista, il realizzatore e chi è destinato a utilizzare l'opera. Se tutti concorrono al progetto, questo soddisferà le esigenze di tutti. Altrimenti soddisferà solo una parte. Un committente forte e un architetto capace di una buona regia sono stati e sono ancora oggi essenziali.
Le grandi chiese del passato furono compiute quando il committente ecclesiastico era forte. La basilica di San Pietro ha visto alternarsi diversi progettisti e diversi costruttori. Era il committente che tirava le fila dell'opera.
Per quanto riguarda l'architettura, oggi il problema è anche legato alla formazione, al mondo della scuola, a quanto è importante considerare il progetto come sintesi di qualità artistiche e di competenze professionali. Per insegnare ai giovani a progettare non solo opere eccezionali ma buone architetture di qualità. In altri termini che l'architettura sia concepita non per l'eccezione, ma per una qualità diffusa, che sia al servizio della società e della cittadinanza. I grandi progettisti italiani del secondo dopoguerra, penso a Giancarlo De Carlo, avevano questo senso di responsabilità verso la società. È necessario recuperarlo anche oggi.
 
 
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