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 Home page - Un libro al mese - ALLA RICERCA DELLA SIMBOLICITÀ PERDUTA 

Alla ricerca della simbolicità perduta

Intervista al Prof. Marco Romano*
a proposito del libro “Giovanni Michelucci e la Chiesa italiana”, a cura di Stefano Sodi (Cinisello B. 2009)
 
* Urbanista, Professore ordinario di Estetica della città. Direttore del Dipartimento di Urbanistica dell'Istituto Universitario di Architettura di Venezia dal 1978 al 1982, ha insegnato anche nelle facoltà di Architettura di Palermo, Genova, Ginevra, Mendrisio. Direttore della rivista Urbanistica, organo ufficiale dell'Istituto Nazionale di Urbanistica (1977/1986). Direttore scientifico della Sezione Italiana alla XVII Triennale di Milano sul tema "Le città del mondo: il futuro delle metropoli" (1988). Membro del Consiglio superiore del ministero dei Beni culturali (2009). Tra le sue pubblicazioni:  L’urbanistica in Italia nel periodo dello sviluppo, 1945-1980 (1991); L’estetica della città europea (1993); Costruire le città (2004); La città come opera d’arte (2008) cui è stato attribuito il premio Capalbio; Ascesa e declino della città europea (2010); Liberi di costruire (2013). Dirige il sito www.esteticadellacitta.it e scrive sul Corriere della Sera.

 


Gli argomenti trattati nella rubrica “Un libro al mese” sono ridiscussi in interviste con diversi esperti. Ne nasce un colloquio volto ad approfondire gli argomenti esposti nei volumi. Le opinioni presentate sono qualificate ma personali, non necessariamente condivise da chi promuove la rubrica.
Michelucci tenta di recuperare il senso, che è andato perduto con l'irrompere dell'architettura moderna, della presenza della chiesa nella città contemporanea. I limiti di tale ricerca riguardano non solo l'opera architettonica, ma più in generale l'urbanistica. Ma vi sono vie che possono essere seguite per risolvere il problema della simbolicità, che è aspetto intrinseco e imprescindibile dell'edificio chiesa.
 
02/03/2016

Fino all'arrivo del Moderno, l'architettura nella storia rimandava sempre e comunque alla sfera simbolica. Si costruivano timpani anche sulle case: servivano a denotare uno status sociale. Quanto più rilevante era la condizione del proprietario dell'abitazione, tanto più vistoso era il decoro presente sulla facciata. Lo si nota anche negli edifici abitativi costruiti fino al primo Novecento lungo le vie di una città come Milano.
 
L'architettura moderna invece per principio si basa sull'essenzialità della funzione e per conseguenza non è adatta a esprimere la sfera simbolica. Non solo: la rifiuta. Le Corbusier, che ne è il maestro, stabilì che la facciata tradizionale dovesse scomparire, e ne eliminò la tipica partizione, fondata su basamenti, cornicioni, finestre, che le davano ordine e decoro. La sostituì con le case su pilotis, le finestre a nastro e i tetti piani.
 
È accaduto così che di fronte al compito di disegnare la chiesa, cioè un edificio la cui connotazione fondamentale riguarda la sfera simbolica e non può essere schiacciata nell'ambito funzionale, gli architetti educati a progettare secondo i principi del Moderno si sono trovati disarmati, privi di risorse. Michelucci reagisce a questa condizione e tenta di recuperare la sfera simbolica.
 
 
02/03/2016

La connotazione simbolica delle chiese era stata sistematizzata da Carlo Borromeo nelle sue Instructiones fabricae et supellectilis ecclesiae, scritte dopo il Concilio di Trento. Si riferivano a una tradizione ben radicata e la canonizzavano, specificando e sottolineando quanto distingueva la liturgia cattolica da quella protestante. La simbolicità era parte costituente dell'edificio chiesa ed era ben riconoscibile e leggibile da chiunque. La composizione con portale, cupola, campanile, vetrate risultava evidente e caratterizzante: in questo acquisiva il senso del simbolo.
 
Ma, finito questo periodo, la ricerca di simbolicità si inoltra nel terreno dell'invenzione che ambisce a rendere l'oggetto architettonico diverso, particolare, unico. Il prototipo è quello della cappella di Ronchamp, di Le Corbusier. Non si tratta di un edificio che rientra nei canoni della simbolicità precedente al Moderno, ma neppure rispecchia l'ideologia di questo. A guardarla, non si capisce subito che è una chiesa, ma se ne nota immediatamente la diversità.
 
 
02/03/2016

Ma dalla chiesa sull'Autostrada, ovvero dal 1960 in poi, come fece Le Corbusier a Ronchamp, anche Michelucci ricorre a progetti che ricercano anzitutto la diversità. Non sono chiese che di per sé “sembrano” chiese, ma si impongono con forme inconsuete che portano chi le guarda a chiedersi: “che cosa sarà mai questo edificio?”. La chiesa sull'Autostrada può essere stata progettata pensando alla simbologia della tenda. Ma in  realtà a prima vista risalta per la forma scultorea e inconsueta: non è percepibile come parte di una tradizione. Il suo valore comunicativo risiede nella domanda che solleva in chi a guarda: perché è elaborata in quel modo? Del resto si tratta non di una chiesa parrocchiale, ha piuttosto un valore santuariale, poiché è stata voluta per commemorare coloro che sono morti sul lavoro nel corso della costruzione dell'Autostrada stessa.
 
Questo tipo di approccio non riguarda solo Michelucci, viene seguito da quasi tutti gli architetti. Prosperano le forme caratterizzate da andamenti iperbolici, come quella della cattedrale di Brasilia progettata da Oscar Niemeyer. Sono rari i casi di chiese che riescono a sfuggire a questa logica.






 
02/03/2016

Penso alla concattedrale di Taranto, progettata da Gio Ponti: a mio avviso si tratta di una traduzione moderna dello stile gotico. È una chiesa ben riconoscibile, non solo in virtù dell'architettura in sé, ma anche per il rapporto che instaura con la città. Infatti dal '400 in poi è tradizione che la chiesa sia preceduta da una piazza, e a Taranto un effetto simile a quello della piazza è ottenuto grazie alla prospettiva dell'ampio viale e della fontana antistante.
 
Penso anche a una chiesa progettata da mio padre, Giovanni Romano, che è noto in particolare per l'architettura della sede centrale della Società Umanitaria a Milano. Si tratta della parrocchiale del quartiere la Villetta di Savona. Pur priva della piazza, a causa della densità dell'intorno urbano, è ben riconoscibile in quanto dotata di tutti gli elementi caratteristici di una chiesa: porticato, portale, campanile, tiburio. Tutti disegnati con linee moderne.
C'è una simbolicità che è intrinseca all'architettura e per questo chiarisce immediatamente la finalità dell'edificio. Penso sia questa la via da seguire per armonizzare la cultura moderna con la tradizione.
 
 
02/03/2016

Ovviamente no: ci si ritroverebbe al punto in cui si trovarono i progettisti al momento dell'irrompere del Moderno, un secolo fa. L'architettura deve appartenere all'epoca sua, ma allo stesso tempo la chiesa ha bisogno di essere riconoscibile. Il problema riguarda anche l'urbanistica. Nella progettazione urbana del secondo dopoguerra la chiesa è stata considerata come un “servizio”, al pari della scuola o del supermercato. Ma questa visione la snatura. La chiesa è l'edificio dotato di maggiore carica simbolica per la comunità, perché ne esprime l'identità, a prescindere dal fatto che la si frequenti o no. La chiesa è l'anima della città europea, e della comunità riassume il desiderio di ritrovarsi e riconoscersi. Nella presenza della chiesa, luogo di riferimento del quartiere, si trova il momento di distacco dalla routine quotidiana e di apertura all'alterità.
 
02/03/2016

Forse ideale sarebbe che vi fossero nuove linee orientative elaborate con piglio simile a quello che il Borromeo mise in campo dopo il Concilio di Trento. 
 
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