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Ida, il coraggio della croce   versione testuale

Vincere l’indifferenza con l’amore
«Dio ci chiama a far parte della Chiesa e, dopo una certa maturazione in essa, ci dona una vocazione specifica. Il cammino vocazionale si fa insieme ai fratelli e alle sorelle che il Signore ci dona: è una con-vocazione. Il dinamismo ecclesiale della chiamata è un antidoto all’indifferenza e all’individualismo. Stabilisce quella comunione nella quale l’indifferenza è stata vinta dall’amore, perché esige che noi usciamo da noi stessi ponendo la nostra esistenza al servizio del disegno di Dio e facendo nostra la situazione storica del suo popolo santo». Nel Messaggio per la 53. Giornata Mondiale della Preghiera per le Vocazioni La Chiesa, madre di vocazioni, papa Francesco offre una riflessione sulla vocazione, sulla responsabilità nella cura e nel discernimento vocazionale, così come sul ruolo decisivo della Chiesa e della comunità tutta.
Nell’ambito del ciclo di proposte dedicate al Cinema e Giubileo, per affrontare la prima opera di misericordia spirituale, “Consigliare i dubbiosi”, la Commissione Nazionale Valutazione Film della CEI - Fondazione Ente dello Spettacolo, in accordo con l’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali della CEI, propone il film Ida (2014) di Pawel Pawlikowski.
 
Dopo lo smarrimento, la croce: Ida
Premiato nel 2015 con l’Oscar come Miglior film straniero, Ida del regista polacco Pawel Pawlikowski è un poetico racconto sul discernimento religioso, tra cadute, fragilità dell’umano, ma soprattutto il coraggio della piena adesione al Vangelo, alla Croce.
Siamo nella Polonia degli anni Sessanta, la giovane novizia Anna (Agata Trzebuchowska), cresciuta orfana in un convento, si appresta a prendere i voti perpetui. Poco prima della professione perpetua, viene a conoscenza di avere ancora una parente, la zia Wanda (Agata Kulesza), sorella di sua madre e giudice nei difficili processi del dopoguerra. Anna si metterà in viaggio con la zia in cerca delle proprie radici familiari, scoprendo che il suo vero nome è Ida e di essere sopravvissuta allo sterminio della propria famiglia perché ebrea. Questo viaggio fisico ma anche emotivo, spirituale, la destabilizzerà dinanzi alla scelta dei voti perpetui. Sarà però la forza e la luminosità della sua fede a salvarla, a rimetterla in cammino verso la croce.
Con Ida il regista polacco Pawlikowski – autore che si è formato in ambito internazionale, lasciando infatti la Polonia all’età di 14 anni, e lavorando per produzioni angloamericane – si confronta per la prima volta con il passato del proprio Paese, con le dolorose ferite lasciate dalla Seconda guerra mondiale e con le violenze contro la popolazione ebraica.
Le crudeltà verso la comunità ebraica rimangono sullo sfondo, senza perdere d’intensità, ma il cuore del film è il percorso della giovane novizia Anna, travolta dalle informazioni sulla propria famiglia, dalla scoperta di essere di origini ebraiche, persino di avere un altro nome. Nell’apprendere tutto questo, nel trascorrere del tempo con la zia Wanda, segnata da una personalità più forte e quasi aggressiva (seppur molto provata e fragile nell’animo), Anna per un momento desidererà vivere l’esistenza di Ida, fare esperienza di una vita altra, distante dal convento. L’immergersi però nella vita quotidiana, il provare persino le sfumature dell’amore, la riconducono a riprendere il proprio cammino, alla vita religiosa.
Sotto il profilo stilistico-narrativo, nell’economia del racconto gioca un ruolo decisivo l’uso del bianco e nero, che rievoca anche il cinema, il contesto socioculturale, degli anni Sessanta. Togliendo colore ai volti, all’umanità raccontata dal film, il regista sembra mettere maggiormente in evidenza la luminosa figura della giovane novizia, che esce fuori dal convento per mettere piede nel mondo; una realtà che sembra travolgerla, ma non la fa smarrire, non la allontana dai piedi della croce. «Straordinariamente fotografato con un rigorosissimo, elegante, austero bianco e nero che fa pensare a maestri del calibro di Robert Bresson e Ingmar Bergman, poetico e privo di qualunque retorica, sostenuto da una solidissima regia impreziosita dagli intensissimi primi piani della protagonista (…), Ida (…) è una di quelle opere che pochissimo concedono allo spettatore» (A. De Luca, «Avvenire», 13 marzo 2014)
Nella prospettiva dell’opera di misericordia spirituale “Consigliare i dubbiosi”, il film Ida offre certamente un contributo significativo. La giovane Anna/Ida è assalita dall’esitazione, da una serie di incertezze riguardo alla propria esistenza, al proprio passato e al futuro come religiosa. Dubbi e incertezze che sembrano propagarsi anche nel resto del Paese; la Polonia infatti è chiamata a scelte importanti per delineare il proprio domani. Anna/Ida restituiscono allo spettatore sì il senso di fragilità e timore che emerge dinanzi alla scelta, al cambiamento, ma anche un profondo bisogno di appartenenza, un’adesione piena e consapevole al Vangelo, a Cristo.
 
 
Per approfondire con la Cnvf e Cinematografo.it
Commissione Nazionale Valutazione Film CEI: «[Per il regista] il ritorno nella terra natia significa il recupero di una serie di elementi importanti e decisivi. Almeno tre: il ricordo della guerra mondiale, ancora vivo (siamo appena nel 1962) tra nazismo e resistenza; l'attualità (di quel periodo) di una Polonia compressa sotto il blocco comunista, tra ideologia (vedi il funerale della zia) e voglia di evadere anche grazie alla musica americana; la scelta finale di Ida, che è sintesi della capacità di riflessione, di personalità consapevole, di voglia di prendere decisioni impopolari. Il regista sceglie di guardare tutta la vicenda con una fotografia in B&N di intensa capacità espressiva. Una soluzione stilistica che storicizza al meglio il copione (molto cinema di quegli anni era in B&N), dà profondità all'immagine e spacca il confine tra passato e presente per diventare riflessione metastorica e universale. Quella di Ida è una vocazione che si misura con la vita quotidiana, uscendone più rafforzata e consapevole, pronta ad affrontare la propria missione spirituale nel mondo. Un film di notevole interesse che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti» (www.cnvf.it).
 
Rivista del Cinematografo - Cinematografo.it: «La ricerca di Ida delle sue origini diventa un’esplorazione della storia recente della Polonia, dal momento più difficile (la guerra) ai tentativi di provare a costruirsi una nuova identità. Dopo alcune produzioni internazionali (oltre al “britannico” My Summer of Love, da ricordare anche il “francese” La femme du Vème del 2011), Pawlikowski torna a casa e, scavando tra le pieghe e le ferite del suo paese natale, realizza il film più significativo della sua intera carriera. Splendida la fotografia in
bianco e nero del semi-esordiente Lukasz Zal e le scelte, particolarmente colte, di una colonna sonora segnata da diversi motivi classici: l’unione crea una messinscena di rara eleganza che,
già di per sé, riesce a emozionare e commuovere. Una menzione speciale alla protagonista Agata Trzebuchowska, alla sua prima prova per il grande schermo, capace di dare un ulteriore valore aggiunto a un film impeccabile e di cui sentiremo parlare ancora a lungo» (A. Chimento, Ida, in «Rivista del Cinematografo», 3, marzo 2014, p. 64).